A rimandare l’udienza, l’altro giorno, è stato un certificato medico per stato d’ansia di una delle imputate, anche se è abbastanza improbabile che il prossimo 5 aprile (giorno fissato per il rinvio) possa essere presente davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Sulmona, essendo Louise Barret Brentnall, settantaseienne moglie e vedova di uno dei figli di Dylan Thomas, Colm Garan Dylan Thomas, residente in Australia. “Una decisione assurda – lamenta l’avvocato di parte civile, Gaetana Di Ianni – che mette a rischio di prescrizione il processo”.
La posta in gioco, d’altronde, non è da poco, perché al di là del processo che vede imputate quattro persone per appropriazione indebita, circonvenzione d’incapace e truffa, in relazione all’eredità scannese del poeta gallese (o meglio della moglie Kathleen MacNamara), sul piatto c’è il riconoscimento di un diritto che vale milioni di euro, se si pensa che il trust sui diritti di Dylan Thomas conta almeno 100mila sterline al mese.
La storia è intrecciata e complessa, degna di un romanzo ed è tra queste carte, tra diritti, rapporti, testamenti ed eredità, che la procura di Sulmona si è dovuta districare in questi anni con non facili rogatorie internazionali, da quando cioè nel 2012 Colm Garan morì nella sua, ormai, Scanno (anche se spirò all’età di 63 anni all’ospedale di Sulmona dove era ricoverato).
Davanti al Gup del tribunale di Sulmona con l’accusa a vario titolo di truffa, circonvenzione d’incapace e appropriazione indebita, sono finiti (difesi dagli avvocati Uberto Di Pillo e Giovanni Mastrogiovanni) Louise Barret Brentnall (moglie di Colm Garan, ma che dal marito viveva di fatto separata), Angelo Paletta (scannese che gli fu molto vicino fino agli ultimi giorni), Raffaele Gentile e Antonio Gatta (accusati di aver sottratto arredi, libri e fotografie dall’abitazione scannese del figlio del poeta per trasferirli in un appartamento di Villalago).
A citarli è stato il sostituto procuratore Aura Scarsella dopo la denuncia presentata da Francesco Fazio, fratello di Colm Garan e figlio di Kathleen MacNamara (che dopo la morte del poeta si era risposata con un siciliano).
Nel 2012, pochi giorni prima della morte, infatti, secondo l’accusa Angelo Paletta incassò presso la cancelleria del tribunale di Sulmona con una delega “indotta” (cioè fatta firmare da Colm Garan approfittando della sua condizione di salute), gli assegni della quota parte provenienti dalla vendita della casa di famiglia (circa 127mila euro) nella quale il figlio di Dylan Thomas viveva e che condivideva spesso con il fratello Francesco Fazio (destinatario dell’altra metà dell’eredità). Assegni che finirono, per decreto della procura poi impugnato e annullato, nelle mani della moglie di Colm Garan, Louise Barret Brentnall, dichiaratasi, illecitamente secondo l’accusa e la legge italiana (ma non quella australiana), unica erede del marito.
Francesco Fazio, insomma, contesta questa divisione dell’eredità, ritenendosi anche lui in parte erede dei beni del fratello Colm Garan.
Una causa che, ovviamente, non ha come solo fine quello dei 127mila euro o dei mobili spariti, ma anche e soprattutto il riconoscimento della titolarità ad avere parte del trust (cioè i diritti d’autore) di Dylan Thomas. Una miniera d’oro e di prestigio se si pensa che ultimamente, tra i tanti che hanno voluto ispirare canzoni, fumetti, film e testi teatrali “all’ultimo bardo” (da Bob Dylan a Dylan Dog, solo per fare gli esempi più popolari), c’è anche una richiesta di diritti di Mick Jagger per fare un film.
Colm Garan fu ospite nel 2003 del Sulmonacinema Film Festival, quando la manifestazione sulmonese dedicò, in occasione del cinquantenario della sua morte, una parte della rassegna proprio a Dylan Thomas, grazie anche al racconto e alla testimonianza del regista Andrew Sinclair.
Uno dei più grandi autori “inglesi” del secolo scorso che, ironia della sorte, trascorse i suoi ultimi giorni sull’orlo della povertà, nella dissolutezza e nell’alcolismo, dopo che si ritirò a Laugharne, vicino Swansea, città del Galles dove era nato nel 1914. A sapere che sessanta anni dopo il suo patrimonio sarebbe valso tanto da essere oggetto di un’agguerrita causa in tribunale.
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