Trasmettere l’umanità che traspare dalle parole di Francesco Piobbichi – invitato a Sulmona ieri dall’associazione Ubuntu -, dai suoi gesti, dagli sguardi, dalle storie che racconta non è un lavoro facile. Il tema in questione è spinoso, per nulla popolare: i migranti. Nemmeno lui quando ha deciso di mettere tutto questo in un libro – Disegni dalla frontiera – ha scelto di utilizzare le parole, bensì i disegni. Vortici di colori vivaci, immagini forti, corpi dai contorni sfumati e poi ovviamente il mare e i barconi che accompagnano quel viaggio.
Troppo spesso la questione delle migrazioni è affrontata in maniera spersonalizzata, deumanizzata. “Al cimitero di Lampedusa – dice l’autore – è pieno di lapidi dove non ci sono nomi ma solo numeri. Nostro compito è ridare dei nomi e dei volti a quelle persone”. Poi si lancia in un fiotto di parole che sono come coltellate all’addome, quando racconta della donna con il corpo coperto di ustioni costretta a salpare dalla Libia, della ragazza eritrea che cercava la figlia finita in un altro hotspot siciliano – invece era morta in mare e lei continuava a cercarla per non impazzire – o la storia del ragazzino guineano conosciuto a Fez, in Marocco, col corpo completamente ricoperto dai tagli del filo spinato di Ceuta e Melilla rincontrato per caso a Lampedusa dopo uno sbarco di mille e duecento migranti.
E poi ci sono le storie – troppe – di morti, dei naufraghi, dei morti asfissiati nelle stive dei pescherecci, di chi si ustiona con la mistura di benzina dei motori e acqua salata, di chi subisce le angherie dei trafficanti o dei miliziani libici, di chi annega nei naufragi, di chi finisce in prigione in Libia – perché i centri libici per migranti nati dall’accordo fra Italia, con il ministro Minniti e la Libia non sono altro che questo. Sono crude le parole di Piobbichi e contrastano con i suoi disegni pieni di verdi, di rossi, di gialli, colori accesi che trasmettono vita e che invece lui ha scelto perché trasmettessero la sua rabbia. Le storie si aggrovigliano addosso ai corpi di chi ascolta, il senso di colpa è condiviso: “Quanta responsabilità abbiamo per questo massacro?” questa è la domanda che risuona muta nella sala conferenze della Cgil di Sulmona. Una responsabilità che non trova colpevoli e che Piobbichi accosta a quella del popolo tedesco che taceva per gli orrori del nazismo: “Come verremo ricordati fra cento anni se non come i nazisti?”
Le merci viaggiano libere in ogni parte del mondo, alle persone non è permesso – non a tutte almeno – valiamo meno delle cose? I giovani occidentali viaggiano liberi in ogni parte del mondo, i ragazzi tunisini che rischiano il rimpatrio, a Lampedusa si sono cuciti le labbra con il filo da cucito in segno di protesta e dicono: “Voi ragazzi e ragazze europee siete la generazione Ryanair, noi la generazione dei barconi, dov’è finita l’umanità su questo mondo?”
Savino Monterisi
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