Giornali e telegiornali sono ormai diventati raccoglitori di cronaca nera. Sembra quasi che l’umanità stia cercando un fondo da toccare e da cui darsi la spinta per poter risalire, ma continuando così, a furia di andar giù, arriveremo dritti all’Inferno.
Ogni minimo particolare degli orrori che si consumano ci viene raccontato dettagliatamente da cronisti informati sui fatti.
Veniamo messi costantemente a conoscenza di tutto ciò che accade nel mondo, vicino e lontano da noi, sempre dentro una nuova tragedia, senza avere avuto il tempo di digerire quella precedente.
E ce n’è sempre una, un tripudio di orrori, uno stillicidio di brutte notizie, ingiustizie e gesti folli.
Dopo i primi secondi di sconcerto e un veloce segno della croce, siamo pronti per il servizio successivo: una strage, uno stupro, un suicidio, violenze sparse sui più deboli, un fabbrica che chiude, un risultato sportivo, un po’ di gossip, la ricetta del giorno, poi sigla e pubblicità.
Ci siamo abituati a ogni tipo di nefandezza umana, anzi disumana.
Fra noi e la cruda realtà non c’è alcun filtro, a parte qualche pixel cancellato da un regista scrupoloso, poi rimesso distrattamente al suo posto nel fotogramma successivo e forse è meglio così, perché ora sappiamo davvero cosa vogliono dire parole come “eccidio”, “raptus omicida” e “violenza inaudita”. Non dobbiamo immaginare niente, sappiamo esattamente come stanno le cose: abbiamo visto tutto e ci siamo indignati per tutto, ma solo per un po’ di tempo e poi siamo tornati alla nostra quotidianità, alle soap opera e alle televendite.
Ricordo che i miei genitori, quando la nostra famiglia veniva colpita da un lutto, tenevano la televisione spenta almeno per un giorno. Bandire l’intrattenimento proveniente da quel parallelepipedo magico, era un segno di rispetto.
Ecco: forse dovremmo tornare a spegnere la tv dopo certe notizie, per poter elaborare l’orrore senza rischiare di dimenticarlo con il servizio successivo, con le previsioni del tempo o con un programma leggero, che sopraggiunge a strapparci sorrisi e televoti.
Perché così si rischia di credere che le cose orribili accadano soltanto lontano, nelle città che non sono la nostra, a persone diverse da noi, da aiutare con un sms solidale in favore di una qualche associazione benefica, per sentirci un po’ meglio, prima di premere il tasto rosso del telecomando e tornare alle cose nostre.
E invece, a separarci da quelle realtà così tremende, che tanto ci fanno inorridire e indignare, è solo un sottilissimo foglio di carta.
Il nostro sentirci al sicuro, lontani da ogni disgrazia e tragedia, è sciocco. Sappiamo benissimo che non basta cambiare canale per lavarci gli occhi, le orecchie e il cuore dall’impronta lasciata da certe notizie.
Come potremmo sbarazzarci, ad esempio, del dolore che proviamo ogni volta che una redazione ci mostra la foto di un bambino sorridente, a corredo di un servizio che ci racconta come sia stato torturato, ucciso, violentato, annegato o lasciato in balia del lupo cattivo? Come facciamo a non sentirlo nostro figlio, almeno per qualche secondo, perché i sorrisi dei bambini sono tutti uguali, soprattutto quando sono rivolti verso una mamma o un papà pronti a scattare una foto: sono sorrisi rivolti alla vita.
Sorrisi sfoggiati sui social network, in periodi di calma apparente, prima che la tempesta scoppiasse e la mente smettesse di funzionare. Prima che qualcosa generasse il black out e un giornalista dovesse usare quell’immagine in un articolo di cronaca nera.
Io sono stanca di sentirmi inerme e inutile, proprio come quei vicini di casa che non si sono accorti di niente, non hanno sentito niente e non hanno potuto fare niente.
Tutti bendati da un foglio di carta, che segna il limite dello spazio vitale e del proprio orizzonte, oltre il quale si rischia di entrare in contatto con il prossimo, di dargli fastidio, impiccandosi dei fatti suoi e di situazioni problematiche, magari simili a quelle di cui sentiamo parlare in televisione.
C’è qualcosa nell’aria o piuttosto ha smesso di esserci qualcosa dentro di noi?
Cosa sta succedendo all’umanità, dall’altra parte di quel foglio di carta, che non so per quanto altro tempo riuscirà a tenerci separati da quel tipo di realtà?
Qualcuno dovrebbe strapparlo, far capolino nella vita di tutti noi, che ci crediamo al sicuro là dietro, come se fosse impossibile diventare un giorno i soggetti di uno di quei servizi di cronaca nera, che ogni giorno ci fanno accapponare la pelle, e dirci qualcosa tipo:
-Hey, va tutto bene da questa parte? Fate attenzione, perché di qua è un disastro, non facciamo altro che raccontare orrori. Se avete bisogno di aiuto, se sentite crescere dentro di voi il disagio, la violenza, la follia o la disperazione, chiedete aiuto! È umano sentirsi schiacciati, disperati, arrabbiati e con le spalle al muro. Al contrario, non è umano far finta che non sia così, tentando di recitare per un’intera vita la parte di chi è felice e contento, finché il copione diventa illeggibile e il buio del baratro oltre il palcoscenico prende il sopravvento.
Perché io non credo che il raptus nasca dal nulla. Non ci credo ai fulmini a ciel sereno, ma neanche ai cieli senza tempeste. Mi fermo qui, perché non sono nessuno, ma se fossi la Regina del Mondo, manderei un emissario a casa di ogni suddito, a controllare come vanno le cose. Anche da quelli con le foto piene di sorrisi e gli hashtag della #vitabella.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
Commenta per primo! "Dietro un foglio di carta"