Andare, partire, viaggiare, fuggire.
Dal tran tran quotidiano, dai problemi -sempre gli stessi- dalla polvere sui mobili, da chi la vuole cotta, da chi la vuole cruda e da chi proprio non la vuole. Accendere il motore, lanciare strali contro il piccione che ha decorato il parabrezza e partire, permettendo alla radio di renderci festosi e ammiccanti: per una volta volta non cambieremo frequenza. “Despacito” sia: pian pianino.
Andiamo al mare!
Non importa se non abbiamo con noi il costume da bagno: la spiaggia non è solo un palcoscenico su cui saggiare la propria fisicità. Non è necessario mostrare le chiappe chiare, per godersi il profumo dello iodio, del fritto di pesce e delle creme solari al cocco.
A piedi scalzi sulla battigia, camminiamo evitando di calpestare malfermi castelli e fugaci “ti amo” scritti sulla sabbia, godendoci lo spettacolo della gente in vacanza. I bambini ridono, giocano o piangono, mentre i genitori sono intenti a fotografarli; le donne parlano fra di loro, divise in gruppi di interesse, mentre gli uomini sono intenti a guardarle. Qualcuno guarda la propria, di donna.
Alcune signore cercano di sconfiggere l’artrite con la sabbia rovente o di sgonfiare le gambe, camminando nella fresca acqua salina. Il mare ci cura e lo fa senza volerlo, accompagnando la nostra vita con il suo respiro, come un’antica nenia rassicurante.
Il mare ci sprona: le onde si infrangono su di noi con violenza, come se fossimo scogli in grado di resistere a tutto, e invece spesso coliamo a picco, senza provare a lottare.
Il mare ci parla, ci dice qualcosa che non sempre riusciamo a capire. È troppo grande il mare, grande da far paura e noi non abbiamo il coraggio di affrontarlo: rimaniamo dove si tocca, dove la vita è al sicuro, dove i suoi discorsi non arrivano.
Nei lidi, fra caffè, gelati, briscole e aperitivi, dagli impianti audio sale un coro unico: e “Despacito” sia. Pian pianino.
Il giorno passa in fretta, finalmente giunge la sera e la spiaggia si svuota. La sabbia non scotta più, gli ambulanti hanno desistito e qualche cane corre felice, come dovremmo essere tutti al mare.
Il sole gioca con il cielo e l’acqua si colora di nuove sfumature. Tutto sembra più bello al tramonto, anche noi: con i capelli spettinati dal vento e incollati dalla salsedine, sul viso il sorriso di chi non intende piangere più, perché ha capito le parole del mare.
I bambini hanno smesso di ridere e piangere: stanno cenando, attenti a non sporcarsi la maglia del supereroe di turno, col pensiero al gelato che più tardi pretenderanno e useranno come scusa per l’ennesimo capriccio.
Le donne, in bagno, idratano dopo la doccia la pelle arrossata dal troppo sole ed esaltano il colorito acquisito, con un trucco dai toni caldi e un vestito che rende omaggio alla femminilità. Si piacciono. Il mare le rende più belle. Non come da ragazze, certo, ma i sogni, quelli non ancora realizzati, seppure i più a portata di mano, sono gli stessi. Escono da quella stanza sperando di piacere a qualcuno, oltre che a loro stesse.
Gli uomini ascoltano il telegiornale bevendo una birra in lattina e imprecano contro i politici. Alcuni di loro stringeranno la mano della propria donna durante la passeggiata serale, sorrideranno per la patacca di gelato al cioccolato sulla faccia del supereroe di turno, stampato sulla maglietta del figlio e si sentiranno i padroni del mondo.
Avranno finalmente capito il discorso del mare e, alla prima occasione, nascosti come ai vecchi tempi in un vicolo buio, stringeranno la propria regina fra le braccia e balleranno con lei come quando era la cosa che più amavano fare, seguendo il ritmo di una canzone proveniente da un piano bar: “Despacito” sia. Pian pianino.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
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