Depopulation / Repopulation

A preoccuparsi delle sorti dell’umanità, che la popolazione vada diminuendo parrebbe una buona notizia.

Siamo 7,5 mld e se ne prevede uno in più ogni 15 anni: solo il pensiero di come si divideranno acqua e risorse figli e nipoti, per chi se ne preoccupa, vuol dire gettarsi nello sconforto.

Questo nonostante la vita media si sia allungata, in Italia i vecchi sono il 22% della popolazione con un’aspettativa di vita salita a 80,6 anni per i maschi e 85,1 per le donne.

Nel contempo però figliamo di meno: 30.000 bimbi italiani in meno ogni anno, che fanno supporre nascita zero già fra 15 anni.

A questo dato si aggiunge l’emorragia dei giovani connazionali, più di 100.000 unità nel 2015 fuggite altrove, con un incremento del 49% ogni dieci anni.

Zero bimbi quindi mentre i pochi nativi se ne vanno, lasciando il Paese in mano a un milione di figli del baby boom, oggi cinquantenni, e a  milioni di ultrasessantenni che vorrebbero godersi una meritata pensione che non c’è.

In provincia però, soprattutto nelle più remote, ancor di più nei piccoli e minuscoli borghi caratteristici del Bel Paese soggetti ad un progressivo ormai cronico abbandono, le conseguenze della decrescita si rivelano nefaste.

I costosi presidi istituzionali e i servizi pubblici, anche i primari, che i contribuenti continuano a pagare sempre più salati per la diminuizione dei lavoratori che possono permettersi di versare, si riducono, si assommano e si centralizzano, in un trend inverso rispetto alla delocalizzazione inaugurata negli anni 60, nel clima di vacche grasse, futuri radiosi e progressivi.

Più i comuni sono piccoli e isolati più gli abitanti li abbandonano, più sono abbandonati più il potere centrale ritenendoli improduttivi riduce risorse e servizi, meno servizi vuol dire meno occasioni di sviluppo e quindi sempre più limitate ragioni per restare, in una sorta di percorso di cane che si morde una coda che si accorcia vieppiù, avvicinandosi paurosamente all’ano.

Così, quando in questi territori la natura ci mette del suo, sparando ad un’ambulanza rimasta ormai senza benzina, le catastrofi (terremoti, alluvioni e via cantando) trovano terreno fertile per l’incuria che regna sovrana, decretando per loro un destino funesto segnato solo dall’illusione che lo Stato verrà un giorno in soccorso.

Ma lo Stato non va in soccorso dei fantasmi, non può permetterselo e pur potendo, non trova interesse per farlo perché il consenso che ne trarrebbe è assolutamente irrisorio.

Ecco che la decrescita che per il pianeta sarebbe una boccata di ossigeno diventa una iattura per i territori, il local cede al global alla faccia di quanti si affannano in  velleità isolazioniste e protezioniste fuori tempo massimo.

Prendersela con i poveri amministratori alle prese con la traballante ordinaria amministrazione a pareggio di bilancio, per quanto le responsabilità di chi ha amministrato negli ultimi decenni siano pesanti, fa ridere come la barzelletta del topolino sul collo dell’elefante, perché le ripercussioni dei fenomeni globali sul localino sono schiaccianti anche per un sindaco che avesse la statura di uno statista d’altri tempi. Figurarsi per un topolino.

Possiamo consolarci con l’aietto, che queste proiezioni lasciano il tempo che trovano: negli anni ’60 ci davano in crescita a ritmo vertiginoso insieme al benessere che sembrava esponenziale, salvo poi ricredersi solo un decennio più tardi.

Oppure, volendosi preoccupare una volta tanto per una faccenda che lo meriterebbe, potremmo provare a fare due più due.

Da un canto il fenomeno di immigrazione che ci porta inarrestabili masse di giovani energie in fuga da continenti depredati e in rapida e disastrosa desertificazione, e di genitori convinti che riprodursi sia ancora un’istanza umana, quasi un dovere o solo l’ultima occasioni di sentirsi vivi, mentre dall’altro, una progressiva decrescita interna unita all’emorragia di risorse in cerca di un futuro altrove, produce depressione, depauperamento e decadenza.

Uno dei nostri nonni contadini, abituato a fare due più due, forse investirebbe su questa contraddizione invece che impaurirsene vomitando odio. Formerebbe i neo arrivati invece di farne palline da flipper fra casa loro e casa nostra per farne cittadini consapevoli delle responsabilità del civis, della procreazione, in primis, ma anche dei doveri e dei diritti che sono la nostra cultura.

Per dare anche a questa, unica eredità da tramandare ai posteri, una speranza di sopravvivenza, ai nostri vecchi una speranza di serena pensione e ai nostri figli e nipoti un’occasione di ritorno anche nelle più remote provincie, che si scrollino di dosso il persistente olezzo di morte che sembra segnarle.

 

Antonio Pizzola

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