Del SI e del NO

Tempo fa ebbi la ventura (e, per certi versi, il privilegio) di partecipare ad una serata ludica del gruppo parlamentare di un partito di maggioranza. Niente di riprovevole, non c’era ancora il covid ed anche loro hanno diritto a divertirsi.

Li osservai attentamente come si fa coi pesci rossi nell’acquario, rilevandone la sensazione di un party di fine erasmus (del resto per molti quella era l’esperienza collettiva più formativa che avevano alle spalle).

Esattamente così, come nel gossip delle ammucchiate di nerd nel Barrio Gotico di Barcellona, solo che i nomi che giravano erano quelli che tutti noi conosciamo dai media, né più né meno come – si sarebbe detto – loro, che li commentavano al trillo dei whatsup del direttivo.

Tentai ovviamente un approccio con più di uno di loro, almeno per non cedere al pregiudizio delle apparenze, ma si dimostravano refrattari ad intavolare discussioni seriose. Del resto erano in relax, li giustificai, pur abituato alle performance dei loro predecessori che facevano politica anche nelle più segrete camere da letto.

A serata avanzata, mi trovai a chiacchierare col dj temporaneamente in pausa a fumare, più disponibile a discorrere, sebbene va detto un po’ indietro con le mode musicali.

Si, si giustificò subito lui, mettere musica era il mio lavoro ma ho dovuto abbandonarlo con rammarico all’elezione nella prima legislatura, convinto che mi sarei dovuto dimettere alla seconda. L’esperienza ci dissero era a tempo, uno scossone alle scarse prospettive di un precario di provincia, pronto a tornare al mixer sulle spiagge come da vocazione originaria.

Alla mia domanda di cosa si occupasse nello specifico, mi rispose che era stato – in quanto eletto anziano – sottosegretario in questa legislatura, da qualche giorno promosso a vice ministro del dicastero… (omissis).

Wow, esclamai, e com’è il ministro?

Veramente, mi confessò un po’ contrariato, col ministro non ci aveva mai parlato perché non lo teneva in alcuna considerazione: forse, provai a rassicurarlo, non era appassionato di musica.

Nel frattempo il secondo gin tonic che gli avevo porto per spingerlo a rivelazioni più piccanti cominciava a fare il suo effetto, ma mi accorsi che mi si intristiva, come nelle sbornie dei fidanzati traditi.

Sai qual è il vero problema di noi qui?  Mi domandò con gli occhi lucidi rivolti alle stelle, che sono stati piazzati in alloggi in centro, spesso distanti, dove non hanno modo di fare vita sociale. Si annoiano, non era questo l’esperienza che avevano immaginato.

Vabbè, lo provocai, ma in parlamento siete il gruppo di maggioranza, potrete vederne e farne delle belle.

Ah ah, mi fece lui, con l’occhio appennacchiato alla Manfredi dei tempi migliori, noi votiamo coi pizzini (lo disse nel suo idioma che mai come in questo caso risultava appropriato). Qui vota si, qui vota no, qui questo emendamento.

Se non segui il suggerimento, sei fuori. Siamo stati eletti per fare la rivoluzione contro questi burocrati e ora ci facciamo il governo, ti rendi conto?

Beh, tentai di confortarlo, un po’ dovevate aspettarvelo.

Vuoi saperla la verità?, mi si abbandonò al terzo gin tonic come la nipote vergine al marchese del grillo dietro la porta socchiusa – ci ha rovinati la poltrona. Arrivati a sedersi lì a nessuno frega più una minchia della rivoluzione, sai quanti ne sono passati ad altri gruppi?

Forse, la buttai lì, non è che vi mancava un’utopia o un progetto?

Rimase un pò in silenzio, poi senza spostare gli occhi dalle stelle, sussurrò come nella prima stazione del rosario il venerdi santo: Niente a che fare col passato, no manifesti, proclami, utopie o partiti: dovevamo sputtanare questi ladroni e farli smettere di rubare e poi tornarcene a casa.

Al mixer, aggiunsi, con un sorriso compassionevole.

Mi è tornata alla memoria questa vicenda, leggendo del referendum e di quanto il numero dei parlamentari appaia nel social-dibattitto dirimente per le garanzie costituzionali, come se il parlamento fosse il luogo delle decisioni e dei veti.

Sai qual è il vizio più odioso di noi italiani? chiosai a fine party. Non il trasformismo, la cialtroneria o la furboneria, ma l’ipocrisia. Evitare l’evidenza per non essere costretti a prendere provvedimenti, fingere di abboccare a qualsiasi ridicoleria, ben consapevoli che ciascuno troverà la sua personale scorciatoia per aggirare anche la legge più insopportabile.

Anzi, più odiosa e idiota la legge, più siamo pronti a sostenerla. Siamo figli delle prediche dei parroci di paese- anzi, a volte proprio di quei parroci- , che come nei film con Alvaro Vitali, inveivano contro gli atti impuri per poi rinchiudersi a fine messa nel confessionale con le disperate housewife del paese.

Mi interruppe, scusandosi, uno dei giovani deputati che si avvicinò all’orecchio del viceministro dee jay come al docente erasmus che lo accompagnava nel localino delle tapas, domandandogli sottovoce:

che dici, ce la possiamo fare una canna?

Antonio Pizzola

P.s.: lo dico subito, casomai dovessero chiamarmi a testimoniare, è tutta fiction. Non è vero niente, il Parlamento è l’organo legislativo, il Governo l’esecutivo come la Magistratura quello giudiziario, separati e indipendenti gli uni agli altri.

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