Il sorriso è lo stesso che aveva il 6 ottobre, quando in una piazza XX settembre rischiarata dal sole di inizio autunno saliva in sella alla sua e-bike per iniziare un viaggio dal sapore di sfida.
Quel sorriso che oggi Latifa Benharara mostra con orgoglio nel video dove annuncia il suo arrivo a Erg Chigaga, nel deserto del Sahara da dove, in una tenda touareg, saluta chi l’ha sostenuta nella sua avventura. Quella di percorrere oltre 4 mila chilometri in quarantatrè tappe, una scommessa che la 34enne sulmonese di origine marocchina ha fatto prima di tutto con se stessa per realizzare un sogno chiamato From Maiella to Sahara. Ovvero raggiungere il deserto del Marocco in bicicletta partendo dall’Abruzzo per raccogliere fondi a favore delle famiglie colpite dal terremoto e dalle alluvioni che lo scorso anno hanno sconvolto il Paese africano.
Un viaggio iniziato a Sulmona e proseguito lungo la costa abruzzese fino in Liguria, passando per la Toscana prima di raggiungere la Francia. E poi la Spagna, dove Latifa ha toccato con mano le conseguenze di Dana, il fenomeno atmosferico che, complice il riscaldamento climatico, ha letteralmente messo in ginocchio la parte sud e quella est del Paese. Una sofferenza anche fisica che tocca il cuore della giovane marocchina che da quel dolore è riuscita a trarre la forza necessaria per continuare il viaggio alla volta di Tarifa, punta estrema dell’Andalusia da dove l’altra sponda del Mediterraneo appare ancora più vicina.
Paesi e culture non così lontani, luoghi geograficamente separati ma culturalmente uniti dal mar Mediterraneo, culla di civiltà dell’una come dell’altra sponda. Una vicinanza che Latifa ha voluto mostrare affrontando un viaggio non solo geografico ma soprattutto interiore, come spiega lei stessa quando, utilizzando una metafora da lei definita “ciclo-spiritualistica” invita ad essere come “la ruota ben fissata di una bici per riuscire a girare nella maniera più veloce possibile senza andar via per la tangente e ruotando sempre attorno a un centro stabile”.
Ma la sfida non è stata solo questa, come dimostra il pesante bagaglio che la trentaquattrenne ha scelto di portare con sè, quello della lotta al pregiudizio nei confronti delle persone che appartengono a una diversa cultura. Specialmente se donna e porta il velo. Proprio come lei che dopo aver riscoperto il significato più profondo di un simbolo non solo religioso, ha scelto di indossare il velo come un turbante, “perché più pratico” come dice Latifa e perché “mi rappresenta”. A conferma che il velo non è sinonimo di oppressione ma anche scelta di libertà, quella di essere se stessi, come ha dimostrato Latifa che nella bicicletta ha trovato “il mezzo” per sentirsi libera praticando uno sport che “apre la mente perché insieme a nuove strade si conoscono anche nuove culture”. Uno sport che in alcune parti del mondo non è ancora accessibile alle donne, retaggio di una cultura maschilista contro cui occorre ribellarsi, come fa la giovane marocchina che oltre ad essere sportiva è anche un’artista che ai suoi quadri affida il compito di trasmettere emozioni. E quel senso di libertà che Latifa sente sempre in sella alla sua bicicletta, anche dopo quasi sessanta giorni di viaggio per arrivare dall’Abruzzo al Marocco.
“Con questo viaggio voglio dimostrare che la libertà di pedalare è di tutti” dichiarava Latifa Benharara al telefono quando mancavano ancora pochi giorni al raggiungimento di quel traguardo apparentemente così lontano. E oggi, arrivata tra le dune del deserto, Latifa promette di dipingere un quadro per Banca Etica che con lei ha partecipato alla raccolta fondi, un progetto che Latifa ha pensato, voluto e realizzato con tutta se stessa per dimostrare che non esistono distanze né confini per sentirsi ed essere “liberi”.
Bravissima. Il prossimo anno si può organizzare un viaggio di gruppo sullo stesso itinerario.
Bravissima!
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