“Basta con le parole, con le passerelle, con il folclore e i proclami, con gli arrosticini che belano in lingue d’oltreconfine, con gli allevatori di contributi che affittano pascoli solo per avere fondi europei, basta approfittare dell’immagine sana e pulita di queste terre e di questi pastori per farne un bollino pubblicitario che nasconde i peggiori traffici ed interessi. Venite allo scoperto. Che si sappia chi difende ogni giorno il territorio e chi ne fa solo mercato e saccheggio”. La rabbia è quella dell’Associazione allevatori ovicaprini Abruzzo tramite il suo presidente Nunzio MArcelli. Una rabbia derivante dall’esclusione, di circa 50mila aziende del settore, dai “fondi nazionali stanziati per prevenire l’abbandono delle terre e per compensare svantaggi: fondi previsti per chi coltiva e alleva in area marginale e di montagna”.
Aziende con tutti i requisiti in regola, “proprio come le 18mila aziende (per lo più del Nord) che i fondi li hanno presi” denuncia l’Arpo accusando l’Agea di quanto accaduto applicando le norme europee con una “dubbia” interpretazione. “In altre Regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna…) che non utilizzano Agea (e forse un motivo ci sarà, viene da dire)- spiega l’Arpo- le regole sono le stesse, ma la loro applicazione è stata diversa. In queste Regioni, tutte le aziende con gli stessi requisiti hanno avuto i fondi: una soluzione di buon senso, ma un buon senso che evidentemente non sta di casa ad Agea”.
A nulla varranno i quesiti che si stanno inviando alla commissione europea, il risultato resta che le 50mila aziende restano penalizzate e non ci sono soluzioni per far tornare le cose ad uno stato di equità. A questo si aggiunge il fatto in altre regioni dove insiste l’Agea ci sono aziende che sono riuscite ad entrare, ma resta una base ristretta rispetto a quelle in l’Agea è fuori. Insomma, aziende con gli stessi diritti e requisiti divise in tre categorie. “Una categoria più ristretta, di pochi ‘fortunati’ che hanno avuto molto più del previsto; quella intermedia, di chi ha avuto come tutti gli altri nelle stesse condizioni nella Regione; e quella – la più ampia – di chi è rimasto del tutto escluso dalla ripartizione dei fondi”.
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