Il tira e molla va avanti ormai da anni. Un tempo lungo durante il quale il Comune ha tentato, senza riuscirci, di rientrare in possesso della sua proprietà, l’ex sede del liceo scientifico lungo viale Matteotti. Lo stabile, infatti, resta occupato dal Consorzio Celestiniano dal lontano 1999-2000, quando cioè venne sottoscritta la convenzione per la gestione di cinque anni, diventata poi tra una causa e l’altra prima di dodici (come contratto commerciale) e poi di diciannove (come contratto alberghiero).
L’anno scorso, esaurite le possibilità di appigliarsi a cavilli giuridici, il tribunale ha deciso che il Consorzio doveva lasciare l’immobile, che il contratto insomma era scaduto. Ma da quella struttura, i “caritatevoli” Celestiniani, che subaffitando lo stabile ci hanno gaudagnato senza muovere foglia centinaia di migliaia di euro, non solo non sono usciti, ma hanno impedito al Comune di fare persino le verifiche di vulnerabilità per trasferirci le scuole.
Ora, però, lo sfratto è diventato formale. Un fisiologico dar seguito a quanto predisposto alla scadenza del contratto d’altronde, e mai rispettato. La riconsegna delle chiavi, chiesta nel 2015 e rinnovata nel 2016, non c’è di fatto mai stata. Così il Comune era intervenuto in ulteriori solleciti, nel settembre 2018 e l’ultimo solo un mese fa con termine perentorio di 15 giorni.
Lo scorso anno, dunque, l’amministrazione ha incaricato un avvocato per procedere con l’iter di sfratto degli occupanti “senza titolo”. Così come era accaduto per un altro caso simile all’Incoronata con il ristorante affidato ai tempi a Sito.
Un altro esempio, poco virtuoso a dir la verità, di utilizzare i beni a disposizione, come se ce ne fossero tanti in città (quei pochi anche manutenuti male, un esempio è il parco fluviale). Quella del Centro Celestianiano, però, resta un bene pubblico di pregio da restituire alla collettività anche e soprattutto per sostenere idee che davvero possano partire dal basso e che, in qualche modo, contribuiscano a risollevare le sorti turistiche, economiche e perché no associative. Da tanto, in effetti, le associazioni, le più varie, tentano di protocollare richieste su richieste con progetti in grado di fare il bene della comunità.
Cosa, pare, che non ha fatto il Consorzio accaparrandosi la struttura a poco più di 1,5 mila euro di canone successivamente subaffittato a 5mila euro al mese. Un affarone insomma.
Il gioco, l’occupazione, sembra arrivata ora al punto di rottura con uno sfratto che restituirà un bene alla città. E che questa volta sia davvero così.
Si spera il più presto possibile.
Simona Pace
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