I comuni hanno già patrimoni importanti, quello che bisognerebbe fare è metterli a frutto, che vuol dire farli fruttare in euro. E’ stato un po’ questo il senso dell’incontro, avvenuto ieri a Campo Di Giove, sulle cooperative di comunità, uno strumento di “innovazione sociale” che mette al centro il capitale umano, ma non quello naturale perché ieri si è parlato tanto delle doppie case in disuso in paese, possibili fonte di reddito turistico, e altrettanto si è parlato dei boschi. Ad aprire il discorso per la Confcooperitive è stato il presidente Massimo Monetti che ha scomodato il Trentino prendendolo ad esempio, quello a cui l’Abruzzo del turismo ha sempre guardato con una certa diffidenza visto la piega un po’ più eco che si vorrebbe dare a questo settore. “In Trentino con i boschi ci fanno i soldi, ci fanno fatturati considerevoli- ha dichiarato Monetti aggiungendo- sono risorse in questo momento ferme, non servono né agli abitanti né a nessuno”. Come se l’ansia, la preoccupazione, il patema durante l’incendio della scorsa estate non fossero mai esistiti.
Ma è stata, sempre per Confcooperative, Marina Paolucci, dottoressa forestale, esperta in cooperazione e sviluppo a lasciare il segno parlando di boschi non gestibili e di vincoli dell’iter autorizzativo “talmente complicato anche per noi tecnici che facciamo questo lavoro” ha dichiarato calcolando la media di 16 mesi “un’assurdità perché possono accadere tante di quelle cose” ha aggiunto. Ben vengano quindi “i sindaci che vogliono riappropriarsi delle aree per usi civici” e “il fatto che finalmente è in fase di attuazione una legge forestale nazionale a cui si dovranno adeguare anche la regione perché è più permissiva- sottolinea-. Visto che ora la non gestione causa problemi di incolumità come incendi e dissesto idrogeologico quindi su questo sono costretti ad intervenire” e poi i famosi Psr nella misura 8.3 per la prevenzione incendi per accedere alla quale i comuni avevano chiesto di eliminare l’obbligatorietà del piano di gestione forestale, lo strumento che dovrebbe controllarne gli interventi, come se in una città si costruisse senza piano regolatore insomma, chissà cosa accadrebbe.
Discorsi preoccupanti soprattutto se è il denaro a fare da filo conduttore ed è l’allarme lanciato anche dal vice presidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, che ha sollevato l’incostituzionalità del testo unico che andrebbe a favorire affari non proprio limpidi, le mafie innanzitutto. Una legge che “corona degnamente una intera legislatura che si è distinta per aver favorito al massimo le multinazionali” scrive. Nel caso specifico la legge rappresenta un attacco ai boschi peligni, abruzzesi, italiani non perché debbano essere evitati i tagli a tutti i costi, che hanno la loro utilità produttiva da garantire, ma perché manca nei fatti una “zonizzazione” del patrimonio forestale, “la distinzione tra boschi da destinare alla produzione, boschi degradati, che devono essere oggetto di restauro, e boschi che devono restare tal quali per ragioni ecologiche, paesaggistiche, culturali- spiega il professore di Selvicoltura dell’Università della Tuscia, Bartolomeo Schirone-. Per intenderci, boschi per i quali non devono essere previste operazioni di taglio se non in circostanze assolutamente eccezionali”. Inoltre nel testo non “vi è alcun articolo specifico che faccia riferimento ai boschi che devono essere protetti come tali, mentre ricorre costantemente il richiamo alla ‘gestione attiva’ che diviene, di fatto, l’oggetto principale”. Così accade anche per i cosiddetti “terreni silenti”, magari prima agricoli e poi abbandonati e sul quale la legge dà il diritto a consorzi, cooperative ecc… di appropriarsene per tagliare. Tra l’altro nel testo unico ci sono boschi che non vengono considerati tali come
quelli artificiali, l’alboricoltura da legno, alcune formazioni arboree; tutte le nuove formazioni boschive su terreni ex agricoli. Tra le “trasformazioni selvicolturali”, che generalmente indicano il passaggio nel tipo di trattamento, nel testo diventa “ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione arborea e arbustiva esistente” purché sia “compensato” con un’altra opera che potrebbe essere anche una strada carrabile, per fare un esempio, utile alle ditte che tagliano, per restare in tema. Il testo, inoltre, viene meno anche agli accordi internazionali relativi alla mitigazione dei cambiamenti climatici e alla conservazione della biodiversità e alla Convenzione sulla Biodiversità delle Nazioni Unite sottoscritta dall’Italia nel 1992.
E pensare che una volta insegnavano come gli alberi proteggessero dal rischio idrogeologico (e addirittura dagli stessi incendi), aiutassero a respirare meglio e che sono essere viventi, perché un po’ di romanticismo non guasta mai e gli occhi di chi guardava il Morrone bruciare ne erano pieni.
Simona Pace
è cosi
alberi e boschi servono solo (si fa per dire) ad essere strumentalizzati in favore di chi taglia e fa tagliare per meri interessi privati. Lo si vede sempre di piu.