Un pò paiata de mezzanotte alla festa de noantri, un po’ adunata di reduci al compleanno del comandante, questa è stata la domenica della Gazebata Consultiva dei salviniani.
Per non essere meno dei 5Stelle, che sottopongono a Russeau – il portale dei fan dove chi non si è iscritto al tempo ormai è tardi per entrarci – il parere sull’alleanza con gli antichi nemici, la Lega ripesca dalle cantine di Bossi i gazebo bianco verdi di pontida, ancora umidi delle golardie con l’acqua del Po, per rispondere alla domanda del nuovo eletto capo.
Tanto se fosse NO, se per di restare coerente con i principi fondatori l’elettorato padano dovesse dissentire da questo sodalizio in cui non nessuno si sposa, pazienza, Salvini ne soffrirebbe ma ha ormai firmato il contratto.
(Che le gazebate si preannunciano con questa caratteristica in particolare, tocca azzeccare la risposta come al quiz dei pacchi in prima serata).
Le cose cambiano, compari, piaccia o no.
Nemmeno la democrazia sfugge a questa regola primaria, non si può restare fissati alle anticaglie delle prime repubbliche, bisogna evolversi.
Senza cambiare la Costituzione, la democrazia da rappresentativa, cioè basata sulla delega all’eletto, diventa sondaggiva, dove l’eletto deve prima chiedere il permesso agli elettori; e contestualmente, anche contrattiva, su accordo scritto, che come si sa carta canta e di verbi ne sono volati fin troppi.
Così, ogni tanto, quando i rispettivi premier dovessero riscontrare il rischio di perdersi per strada gli elettori per una qualche insidia al programma o per un imprevisto sfuggito in fase di stipula, la decisione si rimetterà alle gazebate domenicali da una parte e alle votate telematiche dall’altra. Si o no, il Gesù o Barabba di ponziopilatiana memoria, anche sull’aumento di un’aliquota iva, sull’età pensionabile, su come comportarsi con l’Europa e se mandare all’asilo nido gli immigrati.
Ma fin qui nulla di veramente originale, in fondo il referendum confermativo esisteva già nella prima repubblica, la vera evoluzione nella democrazia moderna è il contratto di governo.
Di derivazione berlusconiana – che nella creatività pop resta maestro, firmando solo contro tutti gli italiani-, la scrittura privata della nuova democrazia si limita alla firma dei due vincitori che, pur restando in coalizioni nemiche, fissano solo i paletti condivisi lasciandosi liberi, fuori dal governo, di continuare ad andare per la propria strada.
Un po’ come da studenti fuorisede quando capitavi in una camerata di coinquilini odiosi e per quieto vivere dovevi fissare sul calendario i turni settimanali delle pulizie, si ipotecano il futuro obbligandosi alle urgenze comuni.
Unico problema di un contratto, avvertono in genere i legali, che per funzionare deve prevedere l’evizione, cosa accada cioè nel caso in cui una delle parti disattenda l’accordo, quali le penalità, i risarcimenti, il foro competente che dirimi la controversia quale arbitro estraneo alle parti.
Ma i due più votati hanno pensato anche a questo.
Nel caso di capricci della base, disaccordi interpretativi o imprevisti , una commissione congiunta diretta dai loro stessi si chiuderà a chiave in una stanzetta nel transatlantico finché il pensiero tornerà unico. Sempre augurandosi che all’uscita dal consiglio gli elettori siano d’accordo con le decisioni e azzecchino ancora una volta la risposta esatta.
Mentre, nel frattempo, governo e parlamento attenderanno gli esiti fuori dalla porta, lanciandosi twit coi giornalisti o giocandosi il vitalizio in bit coin dal wifi free di Montecitorio.
Antonio Pizzola
Detto questo, però, ora torniamo a sperare bene.
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