I raggi B che balenano nel buio vicino alle porte di Tannhäuser in confronto sono zuccherino, il replicante di Blade Runner con le sue cose che noi umani non avremmo neppure potuto immaginare, impallidirebbe, ancora di più di quanto non sia già di suo. Si perché da quando abbiamo preso ad intercettarci e a spammarne ovunque le registrazioni, un magma infinito di orrori galattici e quotidiane meschinità ha invaso le nostre coscienze, mortificate dalle nefandezze che si nascondono in ogni animo umano, dal più delinquente e corrotto al più innocente malcapitato. E se da un canto l’intromissione nella vita privata di ogni innocente malcapitato sia considerata solo un fastidioso effetto collaterale, un sacrificio accettabile per braccare i lestofanti, grazie allo spionaggio generalizzato si è scoperchiato un vaso di pandora maleodorante che assomiglia più ad un water intasato che a un forziere di tesori.
E’ venuto fuori di tutto, il sodalizio fra delinquenza e potere tratteggia uno scenario indescrivibile, inimmaginabile e sorprendente anche per il più ostinato complottista dietrologo, perfino per lo sceneggiatore di un replicante del futuro al largo dei bastioni di Orione.
Non che ci sia nulla di epico, però. Nessun narcos dal fascino maledetto, nessuna scenografica cupola organizzatrice, nessuna villa hollywoodiana per la sparatoria all’arresto finale, niente che possa tornare utile per farne una serie su Netflix.
Solo grigi funzionari pubblici a mille micragnosi euro di mazzetta al mese e avanzi di galera premiati imprenditori per spartirsi appalti sulle disgrazie di ogni tipo, migrazioni, disabilità, tossicodipenze e monnezza comprese. Le ultime su Mafia Capitale, che per sentenza mafia non è ma solo capitale, non lasciano inviolata alcuna stanza del potere, dalle più altolocate ai sottoscala dei fantozzi, comprabili per manco trenta denari.
E ne sono riaffiorate vicende che avevamo dimenticato, in una trama da tela di ragno costellata di mosche delinquenti, politici e giudici; come la rocambolesca rapina al caveau del Ministero di Giustizia, tragica commedia all’italiana completa di talpa cocainomane che apre il portone ai ladri, provetto scassinatore (poi promosso a concessionario di parcheggi blu) che forza la serratura e, su tutti, Er Cecato, che organizza da un lavatoio della Garbatella come Totò con Capannelle, per trafugare le cassette di sicurezza di giudici e vip della politica. Robin Hood de noantri.
Niente mafia, dicono i giudici – che però non hanno mai denunciato il furto di quelle cassette, come a temerne il rinvenimento, men che meno se nelle mani d’Er Cecato. Se non su di loro, almeno sulla categoria un sospetto è dovuto, non si mai davanti a un giudice dovessimo trovarci, magari per aver denunciato un funzionario corrotto.
E allora, ti dici, se è così che stiamo messi, se davvero è quello che si diceva al bar che non si salva nessuno e nessuno ci salva e non da oggi, se qualunque istituzione, clan e categoria finisce nell’unica variegata banda del buco che muove le pedine cioè noi garantendosi l’immunità e rinnovandosi nei lustri, se di nessuno possiamo fidarci, ora che si fa?
Cominciare da cosa, da dove. Da chi?
Politici, banche, caste, partiti e giudici -e mettiamoci pure massoni, cupole e gobbe, giusto per rendere avvincente la sceneggiatura della misera fiction che stiamo girando-.
Il dubbio al di qua dell’urna elettorale è che, storditi dal bombardamento quotidiano di nefandezze, dentro la scarchignaccola cabina nell’ex scuola agibile solo per votare, prendiamo coscienza che il sistema sia inscrostabile, come i muri della sezione elettorale. Che davvero tutto cambia perché il Gattopardo, svezzati i suoi gattopardini, resti lì, con i suoi nuovi cuccioli.
Che anche se il Potere sembra smembrato, al collasso, parcellizzato in una pletora di golosi pretendenti di una torta sempre più misera è solo perché stringe la cinghia, elimina le foglie secche, le zecchette sacrificabili, la spesa voluttaria dei valvassori che riduce i dividendi. E, come insegna ogni fiction ogni mafia, per i dividendi si fanno le guerre.
Mentre, pian piano, a noi, autisti distratti a un semaforo a taggare l’amante alla foto su facebook, lentamente ci tolgono risorse, risparmi, servizi.
E diritti.
Come quello, che già passa per essere il più sacrificabile, di fare nel privato un po’ quello che ci pare, peccatucci compresi, senza essere ripresi, ascoltati e classificati.
O l’altro diritto, altrettanto sacrosanto, di non volerne sentire più di intercettazioni e intercettati.
Condannateli o liberateli, fate voi, senza telecronaca.
Diteci solo come va a finire, per dare un finale, magari avvincente, a questo misero episodio, e passare finalmente alla prossima serie.
Antonio Pizzola
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