L’Afghanistan è tornato all’onore delle cronache dopo la ritirata degli USA e la conseguente presa di potere da parte dei Talebani. L’Afghanistan è un paese posizionato nel cuore dell’Asia, attraversato da una grande catena montuosa, privo di sbocchi sul mare, costituito per la maggior parte da deserti aridi e rocciosi. Per quei territori difficili ma in posizione strategica sono passati in molti: nell’antichità Alessandro Magno e Gengis Khan solo per citare i più conosciuti, poi nel XIX secolo gli inglesi si sono contesi con la Russia, nel cosiddetto “Grande Gioco” il dominio dell’Asia Centrale. Gli inglesi hanno occupato in più occasioni il Paese, stabilendo una sorta di protettorato terminato nel 1919 con un trattato che ne dichiarava l’indipendenza.
Seguiranno diversi sovrani in un’altalena di riforme tentate e frenate dagli ambienti religiosi più conservatori fino al 1964 con la promulgazione di una costituzione parlamentare, dando il via alla nascita di partiti che dopo poco decreteranno la fine della monarchia. Tra questi partiti spiccava il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA), con stretti legami ideologici con l’Unione Sovietica, che dopo alterne vicende il 27 aprile 1978 dà vita alla “rivoluzione di aprile”, costituendo la Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Nei mesi successivi, il governo avvia una serie di riforme: distribuisce le terre a 20.000 contadini, abroga la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti e bandisce l’usura, istituisce il diritto di voto alle donne, legalizza i sindacati, vieta i matrimoni forzati e lo scambio di bambine a scopo economico, sostituisce leggi tradizionali e religiose con altre laiche, rende pubblica a tutti l’istruzione, anche alle bambine che in precedenza non potevano andare a scuola. Le gerarchie ecclesiastiche, penalizzate dall’abolizione delle tasse di cui erano beneficiarie dalla riforma agraria essendo proprietarie di grandi estensioni di terre, non potendo più esercitare il potere su donne analfabete e spose bambine, passarono ben presto a un’opposizione armata incoraggiando la guerra santa contro “il regime dei comunisti atei senza Dio”, appoggiate dalla CIA che organizzò un colpo di stato nel 1979. Erano i tempi della guerra fredda, e l’Unione sovietica ne approfittò per invadere l’Afghanistan. Gli Stati uniti risposero finanziando e armando i Mujaheddin (tra cui Osama Bin Laden) in funzione antisovietica.
Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino avviene l’abbandono del Paese da parte delle truppe di Mosca.
Ben presto le diverse anime dell’integralismo islamico iniziarono una lotta fratricida tra fazioni sino ad allora unite nella crociata contro i miscredenti del PDPA, conclusasi nel 1996 a favore dei Talebani. Nei cinque anni in cui governarono l’Afghanistan, i talebani misero in piedi una struttura di potere articolata, creando anche squadre di “polizia religiosa”.
Per gli uomini c’era l’obbligo di farsi crescere la barba, per le donne quello di indossare il burqa. Uomini e donne potevano frequentarsi solo se erano parenti tra loro. Erano ovviamente vietate le relazioni omosessuali, e anche tutte le forme di intrattenimento come musica, televisione e gioco. Il culto islamico fu in quegli anni fortissimo.
Dopo l’11 settembre 2001 gli Stati Uniti invadono e occupano, con una coalizione di 8 paesi, l’Afghanistan, al fine dichiarato di portarvi la democrazia e scovare Osama Bin Laden, fino a poco prima al soldo della CIA. L’Operazione Enduring Freedom (sic) è durata venti anni, dal 2001 al 2021: è costata agli afghani un numero imprecisato di morti; agli Stati uniti 2400 soldati uccisi; all’Italia 63 militari morti e 720 feriti gravi.
Ed arriviamo ai giorni nostri: la precipitosa ritirata degli USA e dei loro alleati ha permesso il ritorno in grande stile dei Talebani, che hanno reso pubblico il loro programma, tra cui il consiglio alle donne di tornare a casa per adesso, per il loro bene: accettano i diritti delle donne, però in conformità alla Sharia.
Diana Di Lollo
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