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Un investimento a lungo termine, se così si può dire, che ha visto i suoi frutti solo dopo diciassette anni e una battaglia legale che si è conclusa l’altro giorno con una sentenza del giudice del tribunale di Sulmona, Giulia Siani, che ha riconosciuto ad un investitore di Sulmona il versamento da parte della banca Bper di una somma di oltre 130mila euro per la gestione “contraria ai canoni di prudenza, buona fede e correttezza” di un pacchetto di bond argentini.
La storia: nel 1999 l’investitore acquista circa 500 milioni di lire di bond argentini, titoli che da lì a qualche anno si riveleranno più che rischiosi con il default a cui andrà incontro il Paese nel 2001. L’investitore sulmonese fa, come tanti, causa alla banca, chiedendo e ottenendo nel 2008 in primo grado l’annullamento del contratto e la restituzione del capitale (circa 260mila euro), in virtù della mancata informazione sul rischio di investimento. La Bper versa i soldi e chiede e ottiene che le vengano restituiti i titoli, in attesa del ricorso in Appello proposto.
Otto anni dopo la Corte d’Appello dell’Aquila accoglie il ricorso della banca che richiede la somma erogata all’investitore. Subito dopo, prima di ricorrere in Cassazione (che poi stabilirà l’inammissibilità del ricorso), il risparmiatore sulmonese chiede di aderire alla Task Force Argentina, che prevedeva il rimborso del 150% del capitale investito. La banca però sostiene che non ricorrano le condizioni per l’adesione e dopo la declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione chiede al risparmiatore di restituire i soldi.
A quel punto il sulmonese chiede di avere indietro i suoi titoli, ma la banca nel frattempo li aveva svenduti a 20mila euro, senza chiedere il consenso e senza avvertire il risparmiatore che, a tutti gli effetti, in attesa del giudicato, ne era ancora il proprietario, a carico del quale, quindi, la banca procede con un decreto ingiuntivo.
Di fronte allo scenario di vedersi riconosciuti 20mila euro e doverne restituire 260mila, quindi, il sulmonese, tramite gli avvocati Alberto Paolini e Simona Capriolo, si oppone al decreto e chiede non sono di annullarlo, ma di riconoscergli oltre alla quota capitale, anche quel 50% in più previsto dalla Task Force Argentina, a cui lui di fatto non aveva potuto aderire perché i suoi titoli erano stati imprudentemente svenduti dalla banca.
“In altri termini – scrive la giudice -, l’istituto bancario si è deliberatamente posto nella condizione di non poter restituire i titoli in esecuzione della sentenza di appello, ove questa avesse – come di fatto ha – accolto il gravame dallo stesso proposto”.
Di qui il danno patrimoniale riconosciuto e che ora, dopo diciassette anni, la banca dovrà versare al risparmiatore sulmonese. Tutto sommato un buon investimento.
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