Venezia ha premiato una donna con il suo Leone D’Oro : in 78 edizioni, Audrey Diwan, regista francese, è la sesta donna a vincere il prestigioso premio italiano.
Già questa potrebbe essere una notizia ma ancor più rilevante è che il film tratta una tematica, quella dell’aborto, che merita, come giustamente rilevato dalla giuria, una nuova attenzione.
Una delle motivazioni della consegna del Leone D’Oro è proprio la pervasione politica del film che racconta il dramma di una studentessa degli anni ’60 costretta ad affrontare una vera e propria odissea per abortire clandestinamente.
Ad una lettura superficiale si potrebbe obiettare che ormai il problema è risolto con l’attuazione da qualche decennio della L.194.
Secondo quest’ultima la donna si reca presso una struttura pubblica del territorio, dovrebbe effettuare un colloquio e, se necessaria, una consulenza psicologica, le viene rilasciato un certificato con il quale dopo 7 giorni può accedere al servizio IVG di un Ospedale.
Tutto molto semplice se non fosse che in Italia esiste la possibilità di obiezione. Vuol dire che la donna che vuole o deve interrompere la gravidanza spesso, troppo spesso, incontra sul suo cammino un professionista obiettore che le sbarra la strada che pure sarebbe un suo preciso diritto percorrere.
In Abruzzo il dato diventa molto rilevante se si considera che più dell’80% dei ginecologi è obiettore. In termini pratici si traduce in svariati Km e disagi che la donna deve macinare per esercitare un diritto sancito dalla legge dello Stato. Da qualche anno, inoltre, l’obiezione di coscienza è appannaggio anche di altre specializzazioni quali gli anestesisti, per esempio, e di figure che ruotano intorno al mondo sanitario come i farmacisti che si arrogano il diritto di obiettare sulla dispensa della cosiddetta “pillola del giorno dopo”.
Lungi da noi entrare nelle dinamiche di credo e di pensiero a cui ciascuno ha diritto di porre attenzione anche nella propria professione, mi chiedo quale sia il razionale di consentire che strutture pubbliche, deputate a fornire servizi sanitari alle persone, possano permettersi di negare uno di questi servizi. Nessuno si sognerebbe di sottrarre una cura dentaria ad una persona che ha mal di denti, mentre molti si sentono in diritto di negare assistenza ad una donna che scopre una gravidanza indesiderata.
La scelta di praticare un aborto volontario non è mai facile per una donna. Si vive una sensazione di smarrimento e di inadeguatezza che si fondono e si moltiplicano insieme con quelle di paura e di sconforto che nascono dalla scoperta della gravidanza.
A tutto questo si aggiungono le difficoltà per raggiungere l’obiettivo e, da non sottovalutare, spesso la scortesia con cui sono trattate le donne nei servizi di IVG come se scegliere di interrompere una gravidanza fosse una colpa. L’appello resta quello di garantire la possibilità di usufruire della L.194 per tutte le donne, attraverso una organizzazione migliore da parte delle Aziende Sanitarie senza imporre alle pazienti un ulteriore, ennesimo disagio fisico e morale. Piuttosto impongano ai dipendenti pubblici di spostarsi sui Presidi ospedalieri sforniti o facciano bandi di concorso che consentono di avere in servizio un numero adeguato di professionisti.
Auspichiamo, inoltre, che la L.194 venga attuata secondo tutti i suoi principi, compreso quello di supporto psicologico per la paziente che troppo spesso si trova sola ad affrontare una situazione estremamente difficile.
Come è nel nostro stile chiediamo che parallelamente alla “cura” si ponga altrettanta attenzione alla prevenzione. Invece di nascondere e demonizzare con i ragazzi la sessualità, insegniamo loro, a scuola, nei circoli ricreativi, nei luoghi dedicati allo sport, a conoscerla, ad affrontarla con i giusti mezzi, a viverla in modo sano e consapevole.
Speriamo che uscendo dalle sale cinematografiche, quest’inverno, potremmo affermare che siamo fortunati ad avere una L.194 in Italia!
Gianna Tollis
“Mi chiedo quale sia il razionale di consentire che strutture pubbliche, deputate a fornire servizi sanitari alle persone, possano permettersi di negare uno di questi servizi.” Il ‘razionale’ è, banalmente, che l’aborto non è un servizio sanitario. Ed è molto diverso da una cura dentaria. L’aborto non cura nessuna malattia. Con l’aborto si sopprime semplicemente la vita di un bambino allo stato embrionale. E si procura una ferita alla donna. Queste non saranno mai attività sanitarie, perché la sanità ha lo scopo di curare le persone, mentre l’aborto è il contrario. Questo è anche il motivo per cui tanti medici, pur bravi e competenti, si rifiutano di praticarlo.