C’era una volta l’avvocatura, libera professione per eccellenza che, al di là dei guadagni pur gratificanti fino a un recente passato, si alimentava del prestigio di operare al servizio della verità e della giustizia.
C’era una volta. Oggi non più.
Questo raccontano le storie di chi, anche a Sulmona, ha deciso di abbandonare una professione che del prestigio del passato conserva solo il ricordo, costretta oggi invece ad affrontare una crisi senza precedenti.
Laureata in Giurisprudenza, dopo aver tentato l’esame di l’abilitazione Ginevra (nome di fantasia) decide di cambiare strada e oggi è un’assistente sanitaria operante nel campo della riabilitazione per persone anziane. Professione che, nonostante le difficoltà, è sempre più richiesta e di certo le regala soddisfazioni importanti. Loredana invece ammette di aver abbandonato lo studio legale di Sulmona dove lavorava per motivi familiari, per non togliere tempo a casa e famiglia e così, dopo anni di studio, praticantato e udienze in tribunale, decide che forse è meglio diventare ‘dipendente’ con orari più accettabili e tempo per sé. Dopo anni di alti e bassi non più sostenibili, con una famiglia numerosa a carico, Maria confessa di aver ceduto alle lusinghe dello “stipendio fisso” e dopo aver vinto uno dei tanti concorsi banditi in questi ultimi anni, oggi è cancelliere presso la Corte d’Appello. E poi c’è la storia di Paolo che, vivendo in una zona a vocazione turistica, sta valutando l’ipotesi di cancellarsi dall’albo per dedicarsi a tempo pieno ad un’attività di bed and breakfast, dalle prospettive economiche decisamente più rosee. Come lui, d’altronde, lo hanno già fatto in tanti nella città di Capograssi.
Cosa sia successo alla professione forense lo dicono i numeri che parlano di una crisi che nasce da lontano e investe tutto il Paese: dal calo nelle iscrizioni alle facoltà di Scienze Giuridiche (prima Giurisprudenza), a quello nell’accesso agli esami da avvocato con il conseguente costante calo nel numero degli iscritti agli albi: 8.698 cancellazioni nel 2022 con un – 441 professionisti rispetto all’anno precedente, come riporta l’ultimo rapporto CENSIS.
Non immune a tale “patologia” l’avvocatura del foro di Sulmona che, oltre alla crisi della professione, dal 2011 lotta per conservare un tribunale a rischio chiusura con importanti ripercussioni sul piano sociale. E, come ogni fine anno in occasione dell’approvazione della legge finanziaria, in attesa di conoscere le prossime mosse del governo sul futuro dei tribunali minori, il consiglio dell’ordine forense è costretto a fare i conti con numeri in costante calo: dagli oltre 350 iscritti degli anni precedenti il 2011, anno in cui per la prima volta si prospetta l’ipotesi chiusura del tribunale, ai 269 iscritti del 2014 fino agli attuali 252 iscritti all’albo, numeri che risentono anche, ma non solo, dell’effetto spopolamento che ha pian piano portato ad una drastica diminuzione delle cause ogni anno iscritte a ruolo. Meno di mille per il contenzioso civile e circa 1200 per quello penale.
E così se da un lato in Abruzzo sempre meno laureati scelgono di intraprendere questa “irta” strada, come dimostrato dal numero dei candidati abruzzesi presentatisi all’ultimo esame di abilitazione – appena 240 a fronte degli oltre mille degli anni passati -, dall’altro, a livello nazionale, il 36,4% dei giovani sta pensando di lasciare la professione. Colpevoli i costi eccessivi, il calo della clientela unitamente alle sempre maggiori difficoltà nel farsi pagare le prestazioni professionali, soprattutto dopo la pandemia, con un gap di genere impressionante tra il reddito annuo femminile di 26.686 euro e quello maschile di 56.768 e con oltre 100mila avvocati al di sotto dei 20mila euro.
A tutto questo si aggiunge l’“effetto PNRR” ovvero la ricerca del posto fisso che appare sempre più a portata di mano grazie ai numerosi concorsi banditi nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A fuggire dagli studi legali non sono solo giovani ma anche cinquantenni che davanti alla scarsità di lavoro e all’incertezza per il futuro hanno preferito la sicurezza dello stipendio.
E se, nonostante la crisi, il nostro resta il Paese che in Europa conta la più alta percentuale di avvocati, 4.1 professionisti per 1000 abitanti, forse il numero è ancora troppo alto e la fuga dalla professione potrebbe nascondere anche un risvolto inaspettato.
La sfida è quella di reinventarsi per affrontare il futuro del diritto in una società in continua trasformazione, dove l’avvocatura che c’era cede il passo a quella che ci sarà, in uno scenario segnato dalla specializzazione nei settori sempre più importanti come la crisi d’impresa e insolvenza per il diritto civile, i reati legati al world wide web e all’intelligenza artificiale per il diritto penale, diritto dell’ambiente e dell’energia per l’amministrativo, diritto sanitario, urbanistica ed edilizia.
C’era una volta l’avvocatura. Forse, chissà, tornerà ad esserci con una nuova toga.
Elisa Pizzoferrato
C’erano volta gli operai,gli elettricisti , gli idraulici, gli agricoltori ed i muaratori che c’erano una volta e non ci sono più nonostante la grande necessità perché più nessuno vuole piegare la schiena e tutti vogliono fare l’avvocato…..
Articolo che però non dice che, nonostante tutto, in Italia ci sono più avvocati che in tutti gli Stati Uniti. Essendo una professione che lucra legittimamente sulle altrui liti ben venga il calo. Vuol dire che il popolo litiga di meno e, forse, è più istruito di 30 anni fa.
Sicuramente vero quello che dice Elettra, in più aggiungerei che sta diventando sempre più una casta (simile ai notai) se non hai già lo studio avviato da papà negli anni 70/80 fai la fame se parti da zero