“Il bambino è pigro”, “è intelligente, può fare di più”, “non si applica”, “si distrae”. I genitori dei piccoli, e grandi, affetti da disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia) conoscono bene lo scoraggiamento in famiglia che ne consegue, e le accuse, ma basta trovare un insegnante che riesce a “comprendere”, basta trovare i giusti metodi e la lavagna torna a farsi chiara.
Per rispondere alle esigenze dettate dai problemi da dsa la Giunta regionale ha approvato le nuove linee guida continuando con il percorso avviato per le cure dei disturbi neuropsicologici in età evolutiva, che prevede già l’assistenza per il trattamento dei disturbi del comportamento, delle patologie neuropsichiatriche dell’età evolutiva e per i disturbi del comportamento alimentare in età pediatrica (avviando contestualmente il processo di costruzione della rete regionale per l’autismo).
L’obiettivo delle nuove linee guida è quello di garantire nel territorio regionale, in modo uniforme e omogeneo, l’appropriatezza dell’attività svolta in tema Dsa e allo stesso tempo garantire il diritto di scelta delle persone e delle famiglie interessate.
Contestualmente è stato avviato il percorso di accreditamento delle strutture e degli specialisti competenti al rilascio delle diagnosi che al momento sono affidate esclusivamente al servizio sanitario regionale. In pratica sono stati individuati i requisiti di autorizzazione e di accreditamento in base ai criteri stabiliti dall’Accordo Stato, Regioni e Province autonome del 25 luglio 2012.
Un sistema che, secondo quando riporta la Giunta, dovrebbe consentire diagnosi e certificazioni veloci soprattutto per quanto riguarda l’ambito scolastico dove i minori affetti da questi disturbi possono riscontrare diverse problematiche da arginare grazie all’attivazione di un percorso riabilitativo-formativo dedicato, un piano personalizzato che gli insegnanti sono obbligati a redigere.
Diagnosi tempestive fanno la differenza. Non solo perché lavorare quanto prima su una difficoltà rende più semplice il compensarla, ma perché per i ragazzi e le loro famiglie dare un nome a ciò che crea loro disagio significa togliere loro un grande peso. Significa scrollarsi di dosso l’ipotesi di poter essere “scemi”, come spesso si autodefiniscono, di avere qualcosa di grave che non vada, di sentirsi diversi senza sapere il perché.