L’ottimismo e il trionfalismo dell’Abruzzo Economy Summit, dove in una passerella nazionale la Regione si è proposta come modello di sviluppo delle Regioni adriatiche, devono fare i conti con i numeri. A snocciolarli, con un’analisi dettagliata sugli ultimi quattro anni – l’era Marsilio – è lo studioso Aldo Ronci che invita a placare gli entusiasmi.
Tra il 2018 e il 2022, infatti, l’Abruzzo risulta fortemente deficitario in quasi tutti i sette indicatori di sviluppo analizzati. La popolazione, innanzitutto, ha registrato un calo di 30.785 unità con una flessione doppia rispetto alla media italiana: il 2,37% a fronte dell’1,61%. Cosa che pone la nostra regione al tredicesimo posto della classifica nazionale.
Le imprese hanno registrato un decremento di 474 unità, pari a -0,37%, leggermente meglio, in questo caso, della media italiana che è dello 0,42%. Tra queste, però, c’è da registrare la pesante flessione di un settore come quello artigianale che con 1.880 imprese in meno segna un 6,29% in negativo, rispetto al 2,65% della media italiana: quanto basta per far precipitare la regione al penultimo posto della graduatoria nel Paese.
Stessa posizione che l’Abruzzo ha nell’export dove l’incremento è stato di appena 1,1%, rispetto a quello italiano che è stato del 34,3%. Un abisso.
Ne consegue che gli occupati segnano una flessione sei volte superiore alla media nazionale: con 16mila posti in meno la percentuale di perdita è del 3,5%, rispetto allo 0,5% italiano.
Anche la borsa dei disoccupati, con soli 10mila unità in meno, diminuisce del 16,7% a fronte della media italiana che è del 26,4%.
Infine il PIL: davanti al più c’è un misero 1%, mentre in Italia è stato del 3,7% di media.
“Definire un Abruzzo economicamente in buona salute, che può essere un modello per le regioni adriatiche – commenta Ronci – è quantomeno azzardato dato che bisogna, invece, ammettere che il sistema produttivo abruzzese versa in uno stato di oggettiva difficoltà”.
Per Ronci bisogna ripartire dall’Agenda Urbana e dalla realizzazione delle famose sette aree funzionali urbane: uno studio di Mascarucci rimasto nel cassetto, nonostante i proclami della politica, da diversi anni.
Più in generale occorre intervenire sul tessuto produttivo delle imprese abruzzesi composte al 96% da micro e piccole imprese e con scarsa propensione all’innovazione e seri problemi strutturali. In altre parole non competitive.
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