E’ forse la testimonianza più accurata finora prodotta sulla tradizione della Corsa degli Zingari: un documento importante nel percorso che la manifestazione sta facendo verso il riconoscimento quale patrimonio Unesco. Il libro di Andrea R. Staffa Pacentro e i longobardi in Abruzzo. Alle origini della Corsa degli Zingari sarà al centro dell’incontro che si terrà mercoledì prossimo (ore 21) nella corte del Palazzo della Regia Tesoreria, ovvero quello dove ha sede la Provincia e la Pinacoteca Italo Picini, e che chiuderà l’iniziativa #librincortile organizzata dall’Archeoclub.
A dialogare con l’autore due suoi colleghi archeologi: Emanuela Ceccaroni e Francesco Terracciano.
Staffa partendo da uno studio presentato all’VIII Congresso di Archeologia Medievale (Matera 2018), propone una ricostruzione dell’assetto tardoantico dell’intera Valle Peligna. A fine VI secolo uno stanziamento nella zona dei Longobardi invasori era stato posto a Pacentro, a difesa degli itinerari che conducevano a Benevento, sede del nuovo omonimo ducato longobardo. Le vicende sono documentate da un’ampia rassegna di testimonianze archeologiche, topografiche e toponomastiche a cui si legano i due luoghi di culto di S. Angelo dei Placunti e S. Angelo in Vetuli. Ricollegando le loro vicende ad altri singolari riti dei Longobardi del sud – l’albero sacro abbattuto da S. Barbato a Benevento, la tradizione agiografica di S. Panfilo, la persistenza nell’Abruzzo medievale delle tradizioni dell’albero sacro e dell’omaggio con fuochi all’antica divinità germanica della luce – l’autore giunge a riconoscere nella plurisecolare tradizione della Corsa degli Zingari la persistenza di un antichissimo rito di passaggio degli adolescenti risalente alle cruciali vicende altomedievali di questo territorio.
Qualcuno potrebbe spiegarmi il connubio devozione alla Madonna e premio in denaro nella corsa?
Spero tantissimo che venga affrontato anche lo scandaloso problema del regolamento della corsa a numero chiuso e la priorità di partecipazione ai pacentrani …poi nemmeno a quelli di residenza ma di origine e della contraddizione nel richiedere un riconoscimento di patrimonio culturale universale unanimemente condiviso quando poi si rimane chiusi e gelosamente incarenati nelle tradizioni locali… chiedendo poi anche soldi pubblici ed assumendo decisioni con esclusioni assurde e selettive.
Sono ignorante soprattutto su quali siano i parametri per essere “patrimonio culturale universale” ma potrebbe essere che è proprio la tradizione mantenuta integra, le origini, ad poter ambire al riconoscimento?
Mi sorge il dubbio…
ALL’ARUEC A CADREC DE GABON LU CARDILL MALOUDA SDRGNACH ALLARICC AECT FRA AECT A LU PIET FORT
fondamentale non il valore universale bensì la rappresentatività della diversità e della creatività umana, deve possedere le seguenti caratteristiche:
– essere trasmesso di generazione in generazione;
– essere costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in stretta correlazione con l’ambiente circostante e con la sua storia;
– permettere alle comunità, ai gruppi nonché alle singole persone di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale;
– promuovere il rispetto per le diversità culturali e per la creatività umana;
– diffondere l’osservanza del rispetto dei diritti umani e della sostenibilità dello sviluppo di ciascun paese.
Ai sensi della Convenzione sono state istituite due liste di beni immateriali:
– La Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale (Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity), che contribuisce a dimostrare la diversità del patrimonio intangibile e ad aumentare la consapevolezza della sua importanza;
– La Lista del Patrimonio Culturale Immateriale che Necessita di Urgente Tutela (List of Intangible Cultural Heritage in Need of Urgent Safeguarding), che ha lo scopo di mobilitare la cooperazione internazionale e fornire assistenza ai portatori di interessi per adottare misure adeguate.
Inoltre è previsto il Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia (Register of Best Safeguarding Practices), che contiene programmi, progetti e attività che meglio riflettono i principi e gli obiettivi della Convenzione.
Le Direttive Operative dettano i requisiti e i criteri per l’iscrizione:
1. Per essere iscritto nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale, un elemento deve rispondere ai seguenti requisiti:
L’elemento candidato si costituisce come patrimonio culturale immateriale, come indicato nell’art. 2 della Convenzione;
L’iscrizione dell’elemento contribuirà a garantire visibilità e consapevolezza del significato di patrimonio culturale immateriale e a favorire il confronto, riflettendo perciò la diversità culturale.
* la diversità culturale è …
quella del candidato….che deve esserecrispettata*
bene,tutte chiacchiere per dare a credere,cosi come quelle delle varie rappresentazioni/riti/rievocazioni presunte storiche/religiose…gli illusionisti vendono fumo, a chiacchiere facile il riconoscimento Unesco,e basta,o no?
Ha scritto bene il Musichiere: “ Tutte chiacchiere per dare a credere”.
Non esiste un lembo di documentazione storica che attesti questa corsa, altro che Longobardi, toponimi e culti.
Questa corsa è nata in epoca non molto remota, propiziata dai signorotti locali, proprietari terrieri e delle case palaziate, che facevano correre i loro zappaterra già scalzi e affamati, e come premio il vincitore riceveva una pezza di stoffa per un vestito da farsi cucire per quando prendeva moglie.
Non partecipava nessun figlio di “ signorotto “ locale… solo zappaterra a pane e acqua e con i piedi scalzi per 365 giorni all’anno.
Tutte chiacchiere per dare a credere, appunto.
https://www.vaticano.com/a-pacentro-aq-si-terra-la-572-edizione-della-corsa-degli-zingari/
Ananke.it
…Omissis..
Riprendiamo in questo articolo alcune riflessioni di Arpino Gerosolimo pubblicate sabato 15 dicembre 2015 pubblicate su Alias supplemento de Il Manifesto
Come ha molte volte affermato Franco Arminio , la dorsale dell’Appennino che da nord a sud percorre l’intera penisola, contiene in termini antropologici quello che è l’essenza vera del nostro paese. Ovvero come egli stesso scrive .”L’Appennino è l’Italia che avevamo e che rischiamo di perdere per sempre. La gente ci ha vissuto per millenni consumando quel poco che bastava a sostentarsi. Penso all’Appennino come alla vera cassaforte dei paesi, una cassaforte piena di monete fuoricorso. Ci sono zone in cui il paesaggio è ancora incontaminato ed è come deve essere: solitario e sprecato.”
A dimostrazione di queste affermazioni si può portare la sopravvivenza di centinaia e centinaia di rituali, feste patronali, usanze, modi di fare e di essere che compongono un tessuto vario e articolato di quello che è stato un mondo,quello contadino che per secoli li ha alimentati .
Uno di questi è il rituale della Corsa degli zingari che si svolge ogni anno nel mese di settembre in onore della Madonna di Loreto a Pacentro di cui parla Arpino Gerosolimo in un lungo articolo pubblicato su Alias supplemento culturale de Il Manifesto di sabato 5 dicembre 2015.Arpino Gerosolimo da lungo tempo sia da solo che in compagnia di Franco Cercone ha studiato dal vivo questo rituale e lo dimostrano i loro interventi scritti su Abruzzo d’Oggi (n.12 del 1977) Regione Abruzzo, Rivista della montagna e le loro conversazioni e relazioni in incontri e dibattiti. Sempre con l’intento di recuperare la memoria di azioni, gesti ancora vivi che compongono l’alfabeto della vita materiale e spirituale delle comunità dell’Appennino. Sopravvivenze abbiamo detto ma non in senso arcaico bensì in termini di riappropriazione di fronte ad un mondo che le ha espunte ,relegate fuori i confini ,messe in soffitta. Perchè espressione di valori che hanno difficoltà a farsi riconfermare perché impegnativi rispetto alla ricerca di identità in una società sempre più anonima. Ed è sempre Franco Arminio che nei confronti di queste sopravvivenze puntualizza il senso del loro essere per esserci :”Ma non è l’arcaico che ci interessa, non è il suo fulgore, piuttosto un arcaico ferito, in forma di relitto, di reliquia. L’arcaico fuori forma. Il mondo contadino nella sua efficienza era un mondo di cui non bisogna avere nessuna nostalgia, nessuna. È stata una buona cosa congedarlo, è durato fin troppo e per millenni ha arrecato tanto dolore a chi è vissuto intrappolato dentro. Non si può volere un ritorno di quel mondo. Bisogna guardare avanti, ma pensare al futuro non significa pensare alla modernità. (perché )Oggi anche la modernità appartiene all’arcaico….”
Con questa impostazione e all’interno di questo “progetto di studio e di lavoro “ che Arpino Gerosolimo nella paginata di Alias riferisce sulla “Corsa degli zingari “ di Pacentro dove, come egli scrive “ zingaro non sta come nomade ma in dialetto arcaico pacentrano stava ad indicare colui che cammina a piedi nudi. Questo rituale richiama masse di curiosi da tutta la regione Abruzzo e d’Italia.In passato il camminare a piedi scalzi designava un ceto sociale subalterno ed emarginato ,soprattutto contadini senza terra che si stagione in stagione ,andavano a giornata nei campi dei possidenti per qualche piatto di minestra.La parola zingaro era sinonimo di morto di fame …”
Ma come si svolge questo rituale ? Scrive Gerosolimo :”Nel tardo pomeriggio del giorno della festa , ( i partecipanti )si radunano presso un roccione denominato Pietra Spaccata che sorge di fronte al paese.Nel corso degli anni abbiamo visto gente vivere momenti di ansia e di grande partecipazione. Ai primi rintocchi della campana i giovani iniziano una frenetica corsa ordalica precipitandosi per la discesa, costituita da un sentiero montano irto di pietre e rovi,quindi oltrepassano il fiume Vella e risalgono in direzione del paese attraverso un duro percorso che porta direttamente alla chiesa della Madonna di Loreto ,la quale sorge nella parte bassa del bel centro storico di Pacentro. La porta della chiesa è aperta ,l’altare praticamente costituisce il traguardo. I concorrente sfiniti e doloranti ,con i piedi letteralmente a pezzi e sanguinanti ricevono le prime cure di un’èquipe di medici ed infermieri. Il vincitore riceve come premio un palio , che consiste in un taglio di stoffa ,una coppa ed una modesta somma di denaro. Viene portato in trionfo a spalla tra due ali di folla tra le vie del paese accompagnato dalla banda musicale .Il tutto termina davanti alla casa del vincitore dove i genitori offrono del vino segno di augurio e di prosperità.”
Ma che senso ha dunque questo rituale in onore della Madonna di Loreto ,Madonna giunta appunto a Loreto in volo con tutta la sua santa casa? Arpino Gerosolimo ne illustra il senso attraverso considerazioni di ordine antropologico che recuperano la complessità di un rito .Egli scrive :”Sotto il profilo storico ci troviamo di fronte ,probabilmente, al sincretismo di due temi religiosi diversi. Infatti è stato da tempo accertato che nell’area Peligna , il rito della corsa già in epoca italica,si presentava come rito di iniziazione ,legato principalmente alla caccia ,mentre in funzione ludica la corsa forse è legata alla selezione militare che si sviluppò in epoca romana ,i cosidetti giochi juvenilia ,che si celebravano in onore delle diivinità locali istituiti dai primi imperatori romani. Attorno a questi due temi storici si inserisce più tardi la presenza longobarda che soprattutto a Pacentro è attestata da numerosi toponimi come il colle Ardinghi ,il culto di S. Michele Arcangelo ,protettore dei longobardi, ecc. Comunque non si tratta di culti isolati perché nelle popolazioni di stirpe germanica il tema della corsa aveva una sua specifica importanza,lo ricorda anche il Frazer.Tracce di questi costumi esistono nella formazione del dramma liturgico medievale ,nell’azione che si svolge all’interno delle chiese ,cui si sovrappone, sino a sostituirla ,lo scenario del sagrato e delle piazze dopo. La corsa infatti riappare nelle sacre rappresentazioni pervenute fino ai nostri giorni trasfigurate in madonne che scappano in piazza, non solo a Sulmona ma in centri meno noti , come Corropoli ( TE) ed Intrdacaua (AQ). Nel meridione il tema storico religioso della corsa è attestato in diversi luoghi a San Sebastiano al Vesuvio ci sono interpretazioni e parallelismi simili a quella che si svolge a Pacentro. Il percorso è meno proibitivo , ma si svolge sempre a piedi nudi e sempre in onore del Santo Patrono. Le ricerche fatte finora inducono a dire che il culto della Madonna di Loreto probabilmente precede di molto la stessa costruzione della chiesa, situata a Pacentro e risalente al 700 in base ad un leggenda tipica di fondazione. Infatti da tantissimo tempo i pacentrani si recavano a piedi a Loreto ,nelle Marche. Il pellegrinaggio durava quasi una settimana ,dopo un cammino faticoso e pieno di insidie ,La corsa potrebbe essere coeva della chiesa ,sec.XVIII, e costituire una forma particolare di voto capace di sostituire ed equiparare i disagi e lo sforzo fisico causato una volta dal lungo percorso per raggiungere il santuario. Possiamo supporre che la corsa degli zingar era all’inizio solo rito di penitenza (culti delle colpe) in seguito la gara ha acquistato un senso di spettacolarità con carattere ludico ,assicurandosi sempre più numerosi partecipanti.”
L’intervento di Arpino Gerosolimo va letto per intero appunto su Alias supplemento del Manifesto di sabato 5 dicembre 2015 .(1)
Un altro contributo rilevante alla ricostruzione di questo evento è stato dato da Franco Cercone che con Arpino Gerosolimo condivide questo grande amore per lo studio di uomini e cose della nostra “ apocalisse quotidiana “. Cercone sulla corsa afferma “ La ‘corsa’ di Pacentro è una ‘gara’ e dunque rientra nella tipologia dei giuochi e delle competizioni. Nel 1897 apparve com’è noto il sesto volume degli “Usi e Costumi” dedicato proprio ai giuochi fanciulleschi, ma nemmeno in quest’opera il De Nino fa menzione della corsa degli zingari. Sicché si può ragionevolmente supporre che la manifestazione di Pacentro, nata forse come mera scommessa fra giovani del luogo, risalga agli ultimi anni dell’800 ed abbia assunto notorietà solo dopo la morte del grande folklorista peligno (1906). In passato, partecipare alla corsa per la conquista del palio, cioè di un panno per confezionare un vestito, doveva costituire certamente una motivazione non indifferente per gli zingari di Pacentro, appartenenti a ceti sociali subalterni. Oggi le cose sono certamente cambiate; questi giovani camminano solo raramente scalzi nei loro poderi coltivati con potenti mezzi meccanici che essi stessi, con estrema perizia, guidano nei momenti della seminagione o dell’aratura.”
Un’affascinante quanto avvincente descrizione dell’evento , accompagnato dalla pubblicazione di foto in bianco e nero, la fa anche Vincenzo Battista nel suo sito (2) personale. Così Battista racconta il momento culminante della manifestazione ,ovvero la fine della corsa quando appunto i partecipanti, laceri , feriti, dolenti, spossati si abbandonano ai piedi dell’altare della Madonna di Loreto . Sembrano : “ usciti da gruppi scultorei, statue lignee o polittici di rappresentazioni medievali; da deposizioni della Croce o Compianto, quei “Cristi” distesi ,con le braccia aperte e spalancate alla divinità, sul pavimento della navata della chiesa, con i piedi sanguinanti, con i corpi che si girano e si avvitano dal dolore in una sorta di compendio della pittura bizantina,esausti dopo la prova …”
Una corsa dunque che è rievocazione a metà tra rito pagano e tradizione cristiana: una celebrazione in onore della Madonna di Loreto ma anche una competizione che in passato, secondo la versione più accreditata tra le diverse leggende e ricostruzioni storiche, serviva a selezionare tra le classi meno abbienti del posto elementi validi per l’esercito del condottiero Giacomo Caldora.
Il nome dei Caldora è legato a doppio filo con la storia di Pacentro. Il paese sorge attorno al castello omonimo e anche uno dei ristoranti più apprezzati dell’intera Valle Peligna si chiama Taverna de li Caldora. Il proprietario, o “oste” come piace ancora definirsi, è il protagonista e cicerone del paragrafo dedicato a Pacentro nel libro Dove comincia l’Abruzzo di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, ed è proprio lui a raccontare la Corsa degli zingari ai due viandanti/scrittori con queste parole:
“La cosa più bella e la più antica del nostro paese è la Corsa degli zingari, si svolge ogni anno la prima domenica di settembre. Un’incredibile prova di forza e di abilità. I ragazzi corrono scalzi partendo dalla montagna, attraversano il torrente e risalgono fino alla Chiesa della Madonna di Loreto. Dura cinque o sei minuti e si massacrano i piedi. Partecipano i ragazzi originari del paese e uno solo vince, chi arriva secondo non conta niente. Per regolamento si possono anche picchiare, come al Palio di Siena. Nel Medioevo correvano completamente nudi e chi vinceva diventava paggio alla corte del principe. Quando eravamo ragazzi si vinceva un pezzo di stoffa per farsi un vestito.
Adesso ci sono premi anche in denaro”. (3)
(1)https://ilmanifesto.it/la-corsa-degli-zingari-a-pacentro
(2) http://www.vincenzobattista.it/sangue-la-prova-tributo-della-corsa-degli-zingari-pacentro/
(3) http://www.qualcheriga.it/corsa-degli-zingari-pacentro-tradizioni-abruzzo/
Antropologia
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