Si terrà il prossimo 5 ottobre il processo a carico di Massimo De Santis, il 53enne originario del Molise ma da quindici anni residente a Sulmona, scoperto nell’aprile scorso mentre introduceva quattro telefonini all’interno della casa di reclusione di via Lamaccio dove lavorava.
Tre di questi telefoni, nuovi e senza scheda, erano, secondo gli inquirenti, destinati ai detenuti dello stesso carcere dove qualche mese prima ne erano stati sequestrati decine nella disponibilità dei detenuti.
Il giudice per le indagini preliminari ha fissato infatti il giudizio immediato, ritenendo solida la documentazione probatoria raccolta dal procuratore Stefano Iafolla che ad aprile ordinò controlli e perquisizioni all’ingresso del carcere, già sospettando che il corriere potesse essere De Santis.
E infatti, rientrato da un permesso, l’uomo era stato trovato con i telefoni nascosti nella divisa di ordinanza: motivo per il quale la sua giustificazione, di averli cioè acquistati a Napoli a prezzi modici e di averli poi dimenticati in tasca, non ha retto in fase di interrogatorio.
Dopo l’arresto e il trasferimento a Rebibbia, a De Santis furono concessi dal Riesame gli arresti domiciliari, ora trasformati in obbligo di firma. La reiterazione del reato, d’altronde, non è possibile, perché al momento l’agente di polizia penitenziaria è sospeso dal lavoro.
Il prossimo 5 ottobre De Santis chiederà tramite il suo legale, Alessandro Margiotta, di patteggiare la pena, con una proposta di due anni di reclusione su cui, tuttavia, deve ancora esprimere il suo parere il pubblico ministero. In alternativa si dovrebbe comunque procedere con il rito abbreviato.
L’accusa è d’altronde pesante, perché quei telefoni introdotti illegalmente in carcere (questo il capo d’imputazione), erano verosimilmente destinati a permettere contatti esterni a detenuti di alta sicurezza, spesso reclusi per reati di associazione a delinquere.
Un’inchiesta partita ad ottobre dello scorso anno, quando proprio per il rinvenimento di alcuni telefoni ai detenuti, cinque di questi aggredirono cinque agenti di polizia penitenziaria.
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