Imprevedibilità creativa

Poi d’improvviso nel serpentone annodato lungo via Torpignattara di cui si faticava a distinguere capo da coda, le auto si fermarono.

E dal sottofondo abituale di motori tossici e improperi pittoreschi dagli abitacoli si levò una polifonia di clacson al cielo, a suonare all’unisono la domanda fatidica, chissà stavolta la novità che ci riserva Roma.

La folla che ogni mattina popola i marciapiedi diretta verso i fatti propri voltò compatta gli sguardi a ovest come uno stormo di gabbiani sulla spiaggia al tramonto, lì verso il tonfo sordo che fece tremare i vetri, esattamente dove ogni mattina il 409 da Arco di Travertino arriva raro alla Stazione Tiburtina.  

Lì certamente c’era la risposta, la ragione di quel serpentone di lamiere roventi roboanti di bestemmie, a disegnare il caos casuale che regna nella Città eterna.

Il mistero s’infittì quando sull’asfalto ferito di crepe, cedimenti e buche da disorganizzati scavi e successivi relativi rattoppi, cominciò a calare un velo di acqua, come se i viaggiatori accalcati del 409 avessero d’improvviso preso a pisciare per protesta dai finestrini.

Nel giro di pochi minuti il velo si gonfiò in un torrentello che gorgogliava scherzoso, rendendo gioiosamente più inquieto il clima, che rimbalzava negli occhi degli astanti sospesi fra la curiosità per la novità del giorno e la preoccupazione per un probabile dramma imminente, come all’apertura dei mari biblici gli ebrei in fuga dall’Egitto.

Transitavano sospinti dalla correntella bucce di banana e verdura capata dei bengalini fruttivendoli su cui planavano voraci gabbiani di fresca immigrazione; scatolette imbevute di avanzi di take away del kebabaro turco o del burghy indiano, imballaggi da discount poggiati temporanei sotto il cassonetto strabordante di piccoli elettrodomestici a penzoloni, come li avevano lasciati le mani pruriginose di rom e barboni in cerca di merce elettrica un tanto al chilo al mercato nero.

Nessuna traccia di pioggia o altre calamità che ne suggerissero una ragione, il solleone di tarda primavera infuocava le lamiere vibranti di clacson come macerava i resti del Lidl in un mix fusion di cucine internazionali, cumini, agli fritti e coriandoli tritati: 

Ma se non è neve che si scioglie, si domandava in silenzio la folla, se non è alluvione di stagione o cataclisma metereologico, cos’è che stava accadendo davanti il 409 che ostruiva l’orizzonte?

Ma Roma, capitale delle meraviglie, dei paradossi e delle improvvisazioni, sa stemperare i suoi drammi imminenti in catarsi spontanee, da un colpo di genio isolato sbucato dal nulla come una parietale infestante dalle fessure del marciapiede.

Furono i bambini questa volta, quelli più su verso l’agognata origine del torrente miracoloso, che cominciarono a giocare con i laghetti subito formatisi negli avvallamenti dell’asfalto e nelle depressioni accanto ai tombini occlusi.

Asiatici per primi, coi loro duthi a festa e i cappellini a panettone, si schizzavano le tuniche candide, a ruota li seguivano i fratellini mediorientali, pakistani, nordafricani e arabi sfuggiti di mano alle mamme velate, imprecanti sotto il velo nero la loro riprovazione al 409, a loro pensare colpevole di ogni tragedia.

La folla assiepata ai bordi del marciapiede ad assistere alla performance metropolitana come alla processione del protettore del paese, cominciò a muoversi spinta da un irrefrenabile impulso eroico che univa provenienze, abitudini e culture uno dietro l’altro in un’unica fila a risalire quel torrente come salmoni fuori stagione pronti all’accoppiamento.

Finchè, raggiunto il ponte della ferrovia sotto cui giaceva incastrato il 409 che occludeva la vista, un potente geyser alto quanto i palazzi iacp anni 70 a guisa di obelisco fallico svettava scenografico sul paesaggio suburbano, come un progetto di arredo urbano di una new town araba.

Acqua gelida e bulicante che nei secoli aveva rifornito le terme e i nasoni di ogni angolo della capitale piottava a pressione dalle viscere della strada per ridiscenderne in una cascata di energia rigenerante.

Lo sgomento e la curiosità negli animi dei presenti si stemperarono in un improvvisato evento collettivo, una sorta di grandiosa festa di quartiere sonorizzata di clacson, grida festevoli di bimbi e genitori rimbrottanti in ogni idioma planetario, lazzi di pensionati da bar lanciati in valutazioni d’ingegneria idraulica, sbuffi rassegnati di autisti fumanti di polverosa nafta bruciata.

Gniente, fa uno che scendeva con gli stivali di gomma, è un tubo acea che è scoppiato.

Le urla strazianti di sirene inutili perché incastrate in coda al serpentone rendevano il contesto più tragicomico, scena di film apocalittico come in Blade Runner l’undicesimo livello dove i tubi scoppiano, le buche si aprono, le file s’avvitano, la monnezza galleggia macerata al sole, ed ogni urbana manifestazione si genera improvvisa, senza previsioni, senza gestione, senza destino.

Così le nostre città nel primo Ventennio del Terzo Millennio, cosi gli animi della folla sospesa fra la preoccupazione per l’incertezza del destino, il cinismo della rassegnazione e la soluzione creativa del genio isolato che scende pietoso, deus ex machina di antiche tragedie, a offrircene la catarsi.

Antonio Pizzola

1 Commento su "Imprevedibilità creativa"

  1. Complimenti per la capacità descrittiva delle persone, degli oggetti e delle situazioni che si vivono quotidianamente nei quartieri periferici di Roma.
    Articolo critico ed umoristico, scritto molto bene!
    Guido L

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