Nessun imbarazzante silenzio da parte della Regione, ma un doveroso riserbo. E’ questa la risposta del presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, in merito alle parole della senatrice pentastellata Gabriella Di Girolamo, riguardo l’attacco hacker subito dai server della Asl1, tuttora paralizzati.
“Mentre si stanno attuando le azioni di difesa e si stanno svolgendo le indagini per identificare nel più breve tempo possibile i colpevoli e le responsabilità, la Regione non ha nulla da aggiungere ai comunicati della Asl, anche questi doverosamente sintetici – prosegue Marsilio -. Asl che è fortemente impegnata ai massimi livelli per respingere questo attacco. Possiamo solo aggiungere che riteniamo particolarmente criminale un attacco ai sistemi informatici in una azienda sanitaria, attacco che rischia di mettere in pericolo la salute e la vita dei cittadini e dei pazienti. Ogni attacco informatico è un’azione criminale e ignobile, ma fatto contro una struttura sanitaria lo è ancora di più. Al termine delle indagini sarà possibile fare un resoconto finale e assumere anche le conseguenti decisioni in ordine alle eventuali responsabilità accertate”.
La replica del Presidente è riferita alle dichiarazione della Di Girolamo, che si diceva preoccupata per l’evolversi della vicenda: “Tutto ciò ha dell’assurdo – evidenziava nella giornata di domenica la Di Girolamo -, specie per quanto riguarda la risposta degli organi preposti al controllo e alla tutela dei dati dei cittadini. Al tutt’altro che imprevedibile attacco bisognava rispondere con misure adeguate e tempestive. Oggi scopriamo che potrebbe volerci oltre un mese per far fronte a quanto accaduto e rispristinare servizi e prestazioni per i cittadini”.
Potrebbero volerci alcune settimane prima che il sistema informatico torni in funzione. Il caos informatico è stato provocato da un gruppo di cybercriminali riconducibile al cosiddetto “Gruppo Monti” che avrebbe trafugato materiale per centinaia di gigabyte. Da quanto trapelato alcuni dati potrebbero essere finiti nelle mani dei malviventi.
“Si è trattato di un attacco di tipo ‘ransomware’ – spiega all’Ansa Walter Tiberti, ricercatore del Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione e Matematica (Disim) all’Università dell’Aquila -. In altre parole, abbiamo a che fare con un sistema in grado di entrare nei dispositivi criptando i dati per poi poter chiedere un riscatto per decriptare le informazioni”.
“Il problema – prosegue Tiberti – che anche pagando il riscatto non si ha garanzia del ripristino delle informazioni. In maniera preventiva andrebbero fatte diverse operazioni di backup, se non sono state fatte prima adesso è già tardi. Anche un backup non impedisce agli hacker di divulgare dati sensibili dei pazienti, come ecografie e positività da virus come Hiv”.
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