Natale in Casa Silvia

Per qualcuno questo sarà il primo Natale intorno ad una tavola imbandita, con i regali sotto l’albero. I baci, gli auguri, il brindisi. Che la famiglia l’hanno trovata per strada, dove sono stati “raccolti” o dove sono stati “buttati”.

Storie di abbandono, di degrado sociale, qualche volta di violenza, quasi sempre di assenza e nella maggior parte dei casi di fuga e paura.

Sono i ventidue ospiti di “Casa Silvia”, in realtà divisi anche nelle strutture “Il ventre della balena” e “Grillo parlante”: tre appartamenti dislocati in via Volta e in via Patini a Sulmona che per questo gruppo di ragazzi tra i 14 e i 19 anni di età sono diventati rifugi, punto di riferimento. Casa.

Quattro di loro sono maggiorenni, tutti bengalesi, e sono in affidamento a prosieguo: lavorano presso ristoranti della zona, studiano, qualcuno anche con prospettive promettenti.

Gli altri vanno quasi tutti a scuola e a Sulmona, dove sono stati mandati dai servizi sociali, si stanno ricostruendo una vita, riparando l’infanzia, raddrizzando la loro adolescenza.

“Ragazzi normali – ci tiene a sottolineare Andrea Marino, avvocato e responsabile delle strutture – che escono, si innamorano, sbagliano anche. Come tutti”.

Quest’anno nessuno di loro ha chiesto di tornare a casa o di andare in casa di qualcuno, un tutor o qualche amico: dall’altro giorno hanno un biliardino intorno al quale sfidarsi, portato sulla slitta dal Babbo Natale dell’associazione Alpini e un cappello, uno per ciascuno, regalato da Lu&Lu.

“Per ognuno di loro poi – continua Marino – il tutor di riferimento ha scelto un regalo, personalizzato. Perché la cosa più importante per questi ragazzi è avvertire che qualcuno li considera come persone. Ognuno con i suoi punti di forza e le sue debolezze”.

Nelle tre strutture lavorano in modo fisso una quindicina di persone, tra educatori, psicologi, mediatori culturali: “Si tratta di progetti educativi individualizzati, che lavorano cioè sulle singole storie, alcune durissime, specie quelle dei minori extracomunitari non accompagnati – la gran parte – che in Italia sono arrivati dopo anni di pellegrinaggio, di violenze – continua il responsabile -. Il lavoro più importante è quello di tirar fuori il loro vissuto, le loro emozioni. Abbiamo un progetto in particolare che si chiama ‘Il mio diario’, dove i ragazzi scrivono, disegnano, mettono foto. E’ un lavoro non sempre facile: in questi anni ci sono stati tanti fallimenti, ragazzi che rifiutano di aprirsi, di avvicinarsi; ma anche tante belle soddisfazioni, storie di rinascita”.

Andrea Marino nel 2017 quando si è imbarcato con Casa Silvia e poi nel 2020 con le altre due Case di via Patini, lo ha fatto, dice, per voglia di paternità. Ora che un figlio ce l’ha davvero, però, la sua famiglia resta un po’ anche questa: “La cosa più appagante è l’empatia che si crea. Molti ragazzi mi hanno chiamato e continuano a chiamarmi papà – spiega Marino -. Ho iniziato per questo, ma oggi che sono papà, comunque non riuscirei mai a rinunciare a questo patrimonio di umanità”.

Casa Silvia, anzi, è prossima ad un altro passo: per il momento Marino preferisce mantenere il riserbo, ma questa comunità si sposterà presto in una location straordinaria. Per sentirsi più a casa. Intorno ad una tavola imbandita, un albero di Natale, una famiglia allargata trovata per strada.

(l’aggiornamento delle notizie torna a mezzanotte del 27 dicembre… Buon Natale)

Commenta per primo! "Natale in Casa Silvia"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non verrà mostrato.


*