Era a Barcellona e aveva deciso di non rientrare in Turchia, aveva chiamato sua moglie per farsi raggiungere ed è proprio lì che la polizia l’ha tratta in arresto ed è ora ai domiciliari, mentre lui, Can Dündar e suo figlio sono rifugiati politici rispettivamente in Germania e Inghilterra. Non è semplice fare il giornalista di questi tempi nella Turchia di Erdogan, Dündar è stato colpevole di aver stanato il governo mentre trasportava armi pesanti in Siria con dei grossi tir che ufficialmente, invece, avrebbero dovuto trasportare medicinali. Tutto documentato, da buon giornalista, ma ciò non è bastato. D’altronde dopo il golpe del luglio del 2016 sono tanti, migliaia e migliaia, i turchi contro il regime che hanno perso il lavoro, una vera e propria epurazione; e tanti sono finiti in carcere. Oltre ai giornalisti, dietro le sbarre ci sono dipendenti pubblici, magistrati, avvocati, docenti universitari, medici, agenti di polizia, insegnanti. Nessun settore è rimasto illeso e quelli che sono riusciti a scamparsela stanno fuggendo via dal loro paese. Non sono stati risparmiate nemmeno le associazioni umanitarie con il presidente Amnesty, Taner Kılıç, e la direttrice, Idil Eser, arrestati dalla polizia.
“La Turchia che R-Esiste. Diritti umani e libertà di stampa”. Nel titolo c’è tutto il senso dell’incontro che ieri la sezione aquilana di Amnesty ha organizzato ospitando nel capoluogo abruzzese Can Dündar, candidato, insieme alla sua testata giornalistica “Cumhuriyet”, al nobel per la Pace. Notizia fresca questa, che ha raggiunto Dündar la notte scorsa, giusto poche ore dopo il suo intervento aquilano. Perchè per fare il giornalista ci vuole coraggio ed un profondo amore per la propria terra. Ne vale sempre la pena. Un pensiero che ha sorretto l’intera famiglia. Di proseguire la sua attività, nel caso di Can, e sostenerla, nel caso di moglie e figlio.
Ma la libertà di stampa non è messa a dura prova solo in Turchia. A raccontare la situazione italiana, un paese che si crede erroneamente avanti nel sostegno dei diritti umani, c’era Elisa Marincola, giornalista di Report e parte dell’associazione Articolo 21. Ed è attraverso questa associazione che giornalisti come lei lottano per la libertà di stampa denunciando tutti quei casi in cui i colleghi vengono ammutoliti dalle continue querele, anche ancora prima di pubblicare un articolo, dalle minacce fisiche e psicologiche, dalle continue pressioni. Una situazione che non risparmia nessuno e riguarda tutti, dai professionisti delle grandi testate ai precari che lottano scrivendo sul territorio, e per i quali si fa leva proprio sulla loro precarietà, imbavagliandoli con la complicità di un periodo storico in cui l’attenzione dell’opinione pubblica su determinate tematiche è veramente scarsa.
“La libertà di stampa si perde territorialmente” ha amaramente dichiarato Marincola la quale unendosi al coro di voci ha parlato di “fare fronte comune e combattere insieme”. “L’autocensura sta diventando un problema che affianca la censura” ha concluso Dündar, ed è da qui forse che si dovrebbe partire per tornare a fare il proprio mestiere.
A Can Dündar e alla sua famiglia l’Aquila ha dedicato un murales.
Simona Pace
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