“Infinito restare”, torna in libreria Savino Monterisi

Da domani sarà in tutte le librerie e negli store online, per poi intraprendere la sua escursione di presentazioni che in montagna comincia a far caldo. Savino Monterisi ha preparato con la sua casa editrice Radici Edizioni il suo cammino, con il solito stile del contatto viso a viso, voce a voce, occhi negli occhi. Per iniziare sarà a Pescara il 10 giugno presso Villa Sabucchi, poi a Sulmona l’11 al teatro Caniglia e domenica 12 giugno a Gagliano Aterno, quel paesino sui monti che più degli altri, inconsapevolmente, sta interpretando il senso della sua missione letteraria. “Infinito restare” è il secondo libro del nostro collaboratore dopo “Cronache della restanza” e ancora una volta il suo è un viaggio per dare un senso alla sua scelta di continuare, restare, tornare, a vivere le aree interne.

“Un racconto in cammino” lo definisce Antonella Tarpino nella prefazione, dove la natura si intreccia e giustifica il senso della sua scelta, dove restare non è un fermarsi, ma muoversi in profondità per cercare un senso e una via d’uscita.

Duecentotredici pagine dalle quali emergono nuove istanze e vecchie conoscenze del territorio; “ritornanti” e comunità resistenti che non si sono mai arrese allo spopolamento, anziani di cui è importante mantenere viva la memoria e giovani che hanno deciso di investire in nuove imprese agricole.

Dentro ci sono anche pezzi di lavoro fatti per Il Germe, come l’incontro con Francesco Mammola, il mandolinista di Pescocostanzo protagonista dell’ultimo numero di UNduetre Germe, che ha suonato qualche settimana fa per il Presidente della Repubblica. Ma anche il piccolo Jamal di San Benedetto in Perillis, il monte Morrone, i vicoli di piccoli paesi disabitati d’inverno e pullulanti di turisti d’estate: un condensato di storie che aiutano a conoscere più da vicino territori che stanno cercando di capire cosa ne sarà del loro futuro.

Un viaggio che torna da dove era partito, sulla panchina di Bagnaturo, vicino a quella rotonda che sovrasta il vecchio ponte romano “che amministratori poco illuminati hanno deciso di sotterrare decenni fa sotto tonnellate di cemento armato” e che Savino scava, ora, con la forza del racconto, tra i meandri dei suoi sentire, alla ricerca di ragioni del restare che, come sculture sono contenute già nella materia, in quel che c’è, in quel che c’era.

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