Peligni d’Ucraina

Domina Kiev da oltre quarant’anni. Nella mano destra nove tonnellate di una spada spezzata, perché la patria può ergersi in alto ma non più della casa della fede. Nella sinistra tredici metri per otto di scudo, con lo stemma dell’Unione Sovietica impresso nel titanio. Il simbolo di ciò che fu quella parte di mondo coperto da un’impenetrabile cortina per quasi mezzo secolo. Inossidabile come l’animo delle genti dell’Est, temprate dal freddo e dagli eventi. Dalla fame e dalle rivoluzioni. L’Ucraina, però, oggi non appare della stessa consistenza della Statua della Madre Patria. Il vento dell’est spira, sgretolando popoli e territori. Il vicino russo è entrato dalla porta principale come se fosse a casa sua. Le chiavi le aveva lasciate sotto lo zerbino in realtà, perché da quelle parti Mosca ci aveva già abitato.

I riflettori del mondo sono puntati da giorni sul Donbass e, in particolar modo, su Donetsk a 746 chilometri dalla capitale dell’Ucraina. E’ qui che si gioca il destino del globo, in una mano di poker dove l’invasione equivarrebbe ad andare in all-in. Gli americani sono bravi bluffatori. I russi se la cavano meglio con gli scacchi. In comune c’è la pazienza, la lettura dell’animo di chi hai di fronte. Il sangue freddo, ma quello non manca a nessuno dei due. Sì, perché ad un attacco russo equivale una risposta americana. E a vedere bene la scacchiera (o il tavolo verde) non sembrerebbe mancare molto alla prossima mossa di Putin, la quale sarà dettata da un misto di strategia e nostalgia sovietica.

C’è chi è nato sovietico, diventato ucraino e poi si è trasformato in italiano, ed ora guarda da lontano la sua patria, con l’angoscia a fare da filtro all’orizzonte. Si tratta di Alina Leytsyus, dottoressa del 118 di Sulmona, venuta alla luce in Ucraina nel 1960 e trasferitasi in Italia nel 1998 lasciandosi alle spalle il granaio d’Europa. Lei dell’Unione Sovietica ha vissuto la nascita e il tracollo. Ha visto Yuri Gagarin lanciato nello spazio tra le stesse stelle che guardarono dall’alto la cittadina di Pripyat illuminarsi per l’esplosione del reattore 4 che cancellò vite, disgregò segreti e creò crepe tra i compagni sovietici. Dallo sfondo rosso della falce e il martello ha visto improvvisamente riemergere il gialloblu del vessillo nato dagli spari di una rivoluzione guidata da Symon Petljura.

“Quella del Donbass è una questione che va avanti dal 2014 ed ora si è riacutizzata – ci racconta Alina – e devo ammettere che è stata troppo sottovalutata. Ho diversi parenti a Donetsk. Lì si sentono ucraini, ma da qualche tempo è iniziata una campagna pubblicitaria che disegna l’ovest del Paese come un crogiolo di nazionalisti. Quanto sta accadendo è terribile. Le parole di Putin danno un quadro reale di come lui si senta. Pensa di essere uno zar, e infatti nel discorso di lunedì scorso lui ha parlato di Impero Russo”.

“In Ucraina ho due sorelle, mia madre, e un nipote di 8 anni che mi ha detto di essere stato portato in un bunker durante le lezioni a scuola a causa di un allarme per un possibile bombardamento. Loro abitano a Ivano-Frankivs’k, da dove vengo anche io, a centinaia di chilometri dal fronte orientale. Anche lì, però, il clima di guerra si sente. Se ho proposto ai miei familiari di venire in Italia? L’ho fatto più volte. Temo per le loro condizioni. Queste azioni militari sono una reale invasione del nostro Paese. Un conto è la Crimea, che fu donata all’Ucraina da Nikita Chruščëv. Lì è comprensibile che non si sentano ucraini. Ma nel Donbass no. Quello che provo nel vedere le condizioni della mia terra è un dolore immenso. Qualcosa di superiore persino al disastro di Chernobyl. Lì fu un errore, qui è una precisa volontà russa di fare del male”.

Agli occhi di un’ucraina che vede dall’Italia la sua nazione si contrappone la vista di un italiano che in Ucraina negli ultimi mesi c’è stato e ha toccato con mano la condizione della società del luogo. Si tratta di Enrico Osvaldi, studente introdacquese dell’Università di Bologna che frequenta il corso di laurea magistrale in Storia Orientale. “Lo scorso agosto sono stato un mese a Leopoli, nell’ovest dell’Ucraina, ma ho girato la nazione e visitato diversi posti tra cui Kiev. Nel Donbass non ci sono stato, ma per il semplice fatto che è altamente sconsigliato andarci. Parliamo di un territorio disseminato di mine, molto pericoloso per i civili. Sono rimasto in contatto con la famiglia che mi ha ospitato e con due professori universitari. All’inizio di dicembre non si percepiva la tensione, anzi dicevano che erano gli americani a esagerare. Ieri, dopo il discorso di Putin, li ho contattati e avvertono il clima pensate che si è venuto a creare”.

“Nella parte occidentale dell’Ucraina – prosegue Osvaldi – traspare la propaganda nazionale. Più ci si muove verso ovest e più si avverte una voglia di ripudiare il passato sovietico. Parliamo anche di una sorta di venerazione in alcuni luoghi della Waffen-Grenadier-Division der SS, un corpo militare ucraino filonazista catturato e distrutto dall’Arma Rossa nel 1944. La chiave di lettura più eloquente, però, è la lingua. A Kiev si parla sia ucraino e sia russo. Le due culture vengono messe sullo stesso piano, anzi gli abitanti del luogo dicono sia un vantaggio questo bilinguismo. Tutto ciò la dice lunga sull’influenza che ha avuto e che ha la Russia lì. Quella di Putin un’azione dolorosa nei confronti di un popolo che ha una precisa identità. L’idea di rifondare l’Unione Sovietica è megalomane, ma sicuramente l’obiettivo è quello di espandere i confini russi”.

Ucraina così lontana e così vicina. Destini legati, tra chi ha detto arrivederci alla propria terra e chi l’ha visitata per studiarne le dinamiche sociali. Due lingue nascoste nello stesso alfabeto. Una terra contesa tra due nazioni. La guerra è alle porte. I cannoni dei carri armati russi sono puntati sullo scudo in titanio della Statua della Madre Patria. Quaranta milioni di ucraini dietro di esso. La falce e il martello in rilievo davanti. Ciò che fu e ciò che qualcuno sogna di ricreare dopo averla vista disgregarsi tra i frammenti di un muro.

Valerio Di Fonso

2 Commenti su "Peligni d’Ucraina"

  1. Mi chiamo Antonio | 23 Febbraio 2022 at 08:45 | Rispondi

    … sono sempre le conseguenze di un’ideologia destinata ad essere cancellata dalla storia dovunque essa si sia manifestata e continua a manifestarsi… i popoli oppressi prima o poi si libereranno dalle catene, il destino inesorabile di tutti i regimi… nessuno escluso.

  2. Putin, l’ultimo sovietico. Fino a quando non se ne andra’ a fare in culo, ci saranno sempre problemi.

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