E il settimo giorno Dio creò l’uomo, e l’uomo uccise Dio. Sul Morrone la parabola è quella di Caino. Ed Abele siamo tutti noi. Sette giorni sette, una settimana, di fiamme e fumo, di fuoco e polemiche, di disperati eroismi e inutili chiacchiere.
Il tempo per le responsabilità arriverà, chissà: quelle dei criminali che hanno ridotto le nostre montagne in cenere e quelle di chi doveva evitare che tutto questo accadesse. Con i mezzi pochi e in ritardo, il super elicottero che arriverà solo oggi, la schizofrenia sulla gestione dell’emergenza e dei volontari.
Tutto questo si poteva evitare e non è stato evitato. Le fiamme continuano ad avanzare verso Pratola sul versante di Sulmona, e a Pacentro dove gli ettari divorati sono più di 320.
Le passerelle dorate per la politica sono diventate ora una passeggiata sui carboni ardenti: il barile del “ci penso io, ho parlato con Gentiloni” e dei “rimboschimenti in tempo record”, il presidente D’Alfonso ha preferito scaricarlo sui Dos e gli operativi: “E’ con loro che dovete parlare”.
Ora si fugge dai piedi del Morrone, perché l’occasione si è trasformata in trappola: di fronte al calore delle fiamme non c’è clan che tenga, cortigiani che siano disposti a sostenere il re. Il popolo è in rivolta, indignato, disgustato.
Con una mossa da Prima Repubblica, l’altro giorno, il sindaco di Sulmona Annamaria Casini ha annunciato le sue dimissioni se non ci fossero stati segnali adeguati dallo Stato (ovvero dal governo). Quello stesso governo amico che durante l’ultima campagna referendaria ha sfilato in quasi tutte le sue declinazioni in questa città; quando, ad esempio, nelle mani di Delrio venne consegnato dall’assessore Gerosolimo il dossier sul Centro di protezione civile di San Cosimo (già, che fine ha fatto).
Fugge il presidente, non parla l’assessore, non si è mai visto il delegato alla Protezione civile, né quello ai Parchi.
E il sindaco è rimasto solo, a chiudere la stalla dopo che i buoi sono stati bruciati; pronto a dimettersi dice, pronto come i soccorsi che hanno lasciato incenerire il Morrone.
“Sono a sperare che questo annuncio rimanga nel recinto delle amenità perché un autentico primo cittadino, peraltro eletto con una ampia maggioranza – dice il consigliere Elisabetta Bianchi -, non lascia il comando in situazione di così grave emergenza e soprattutto non grida invocazioni di aiuto ma attiva, responsabilmente, procedure. Dovrà, prima
delle sue dimissioni, partecipare al consiglio comunale, sulla cui solerte fissazione non consentirò manovre dilatorie e riferirà sui gravi accadimenti che devastano la nostra terra da giorni, dovrà accettare di rimanere inchiodata ai demeriti come ai meriti qualora, gli uni e gli altri, dovessero emergere. Dovrà riferire quali atti adottati siano rimasti frustrati nei loro effetti e perché. Dovrà dimostrare l’efficienza dell’allertamento e dell’assistenza fornita alla popolazione ed ai soccorritori e volontari”.
Come se non bastassero le fiamme, nel mezzo, il caos amministrativo: le Notti Bianche annullate in segno di lutto e in nome della sicurezza e le sagre del toro allo spiedo gentilmente offerte dalla famiglia del consigliere che si svolgono regolarmente. Le scuole che non aprono ancora i cantieri e la convenzione con il Cogesa annullata dalla sentenza del Consiglio di Stato. I problemi irrisolti della macchina amministrativa e il costoso flop del Bimillenario ovidiano.
L’elenco è lungo, un elenco di occasioni perse, obiettivi mancati, ritardi abissali, montagne che ardono. Ancora. Al settimo giorno.
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