Un vincolo dal valore sociale

L’abbattimento del muro su via Manlio D’Eramo di qualche mese fa ha sollevato solo momentaneamente l’attenzione mediatica sulla conservazione del centro storico: “Un complesso di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”. Non è questo il luogo in cui parlare della correttezza tecnico-procedurale di quell’intervento ma, più in generale, dell’attenzione che si ripone verso il nucleo antico della Città. Il vincolo paesaggistico istituito con il DM 113 del 22/02/1996 è visto dai proprietari, tecnici o imprenditori, più come un impedimento che come salvaguardia di un bene che a tutti può portare giovamento, sia esso economico o psico-fisico. Le motivazioni per cui il centro storico sia stato vincolato sono riportate nello stesso documento con una descrizione puntuale: “Assume un aspetto singolare in virtù di una successione di fronti edilizi coincidenti con il perimetro della cinta muraria racchiudente all’interno una disposizione varia e multiforme di tetti e falde di copertura, nonché il gioco dei volumi delle quinte edilizie che si aprono in altezza alla vista […] in una scenografia che lascia intravedere fondali e quinte di vicoli e spazi caratteristici per forma e dimensione, come in un quadro dipinto, alla vista di chi osserva da lontano l’intero centro con colori dati dalle superfici tinteggiate, alternate a pareti di pietrame non intonacato, imbrunito dall’azione del tempo, il tutto organicamente articolato”.

Sarebbe superfluo rimarcare il valore della bellezza dei monumenti , del Corso o delle piazze. Il concetto chiave della descrizione è invece l’organicità dell’intero complesso, strutturata da uno storicizzato impianto urbano e configurata da una spontanea omogeneità architettonica. Nonostante il suo valore intrinseco però il centro storico rimane il luogo più bistrattato e abbandonato perché mai messo al centro di una consapevole pianificazione della Città che, invece di cavalcare le prescrizioni vincolistiche, si è fatta da esse sopraffare. Quindi il mutamento delle condizioni dell’abitare, la necessità di nuove infrastrutture e servizi, le innovazioni tecnologiche sono state affrontate nella maniera più semplicistica: propendere per il nuovo piuttosto che per il riuso dell’antico così da evitare il confronto con il vincolo. A distanza di 25 anni si è giunti ad un punto di non ritorno con l’interrogativo sul futuro del centro storico che non può prescindere dalla sua liberazione dalle auto. In tal senso come è possibile che la soprintendenza non si esprima anche sull’uso che si fa degli spazi pubblici? Il complesso organicamente articolato non è forse il frutto del dialogo che il costruito instaura proprio con i vicoli o le piazze? A cosa serve ostinarsi a conservare se poi non viene garantita una corretta fruizione e percezione delle bellezze a cui tanto si pone attenzione?

È proprio dall’errato uso che si fa dello spazio del centro storico che ne deriva la poca consapevolezza che la comunità ha di esso. Trasformare i pittorici scorci in parcheggi abusivi autorizza chi li vive a considerarli come un ambiente urbano qualsiasi, una periferia in cui poter realizzare finti bugnati o tinteggiature spatolate, sostituire le originali decorazioni in stucco con nuove in materiale plastico, consolidare i fabbricati con tecnologie high-tech, sostituire infissi e portoncini con nuovi in alluminio o dai colori acidi, operare sostituzioni edilizie a metà tra una ricostruzione “com’era dov’era” e un organismo completamente nuovo. Non si stanno criticando le scelte progettuali ma l’azione di coordinamento tra un intervento e l’altro perché in un centro storico come quello di Sulmona non possono mancare un piano colore, dei codici morfologici, degli abachi a cui riferirsi per conservare o rinnovare le fattezze architettoniche. Simili strumenti garantirebbero snellimenti burocratici ma ancor più una coerenza tra gli interventi avendo a disposizione una prestabilita gamma di colori, materiali, modelli da applicare agli intonaci, infissi, vetrine, insegne, rivestimenti. Abitare il centro storico è un impegno sociale il cui significato è riassunto nella discorso del film I cento passi ovvero “ricordare alla gente cos’è la bellezza, insegnargli a riconoscerla, a difenderla”.

Valerio Vitucci

4 Commenti su "Un vincolo dal valore sociale"

  1. Benissimo. La tristezza è che il discorso sa di antico. Pensa che su queste istanze 50anni fa si metteva mano ad un PRG che sul centro però non ha fatto un passo previsto e…dimenticato.
    Nel silenzio su questi argomenti fa piacere vedere tornare certe riflessioni. Ok.

  2. Vorrei mettere a conoscenza l’autore dell’articolo ed i cittadini di Sulmona tutti che la porzione di muro di via Manlio D’Eramo di cui si è tanto parlato non ha proprio nulla di storico in quanto è stato realizzato con blocchi di cemento negli anni ’80 per consentire al comune di effettuare i lavori di ristrutturazione del palazzo municipale.

    • Naxos, non mi pare sia stato affermato diversamente nell’articolo (perché presumi che l’autore non lo sappia? Io lo darei per scontato, visto che lui è un architetto), e comunque non è quello il punto sollevato dall’autore. Forse, prima di mettere a conoscenza gli altri, dovresti leggere e capire. L’articolo descrive il tradimento degli obiettivi stabiliti nella norma che istituisce il vincolo paesaggistico sul centro storico, da intendersi come entità organica, obiettivo che si è scontrato con le spinte all’ammodernamento delle funzioni urbane dovute a cambiamenti nello stile di vita e negli assetti produttivi, cambiamenti che sono stati affrontati senza visione e senza includere il valore del centro storico nella funzione obiettivo sociale. E siccome la politica non ha governato questo processo, anzi, ha semplificato la funzione del centro storico a “spazio urbano qualsiasi” di fatto declassandolo, allora anche tutti i cittadini hanno pensato che il centro storico fosse un parcheggio, un take-away; e gli abitanti e gli esercenti del centro storico, con eccezioni, hanno pensato che il proprio palazzo potesse diventare decrepito, non facendo alcuna manutenzione degli stabili e delle facciate oppure facendola fare a qualche architetto daltonico. Chiedo scusa a Valerio per la semplificazione, ma forse così il messaggio è sufficientemente destrutturato da arrivare a tutti.
      Aggiungo che ora ci ritroviamo con una città che ha un assetto urbanistico che sarebbe funzionale se fossimo nel 1920, con attività commerciali assolutamente non in grado di produrre valore aggiunto (anzi, è possibile che se non ci fosse il nero neanche camperebbero) e non in grado, quindi, di prendersi cura della riqualificazione degli immobili.

  3. Importante il tema proposto. E’ necessario individuare tutte le cause che hanno portato al decadimento di tantissimi centri storici, non solo a Sulmona. Tra queste, ad esempio, una cultura dominante – anche se di minoranza – che vorrebbe “monumentalizzare” tutto (da ciò che è veramente monumento fino alle mollette per i panni) dimenticando che il primo presupposto di valorizzazione e conservazione equilibrata del centro storico è favorirne un utilizzo compatibile con le vere cose da tutelare

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