La quantità di tamponi da fare o che andrebbero fatti è ancora notevole: centinaia di persone, dei cinquecento in sorveglianza attiva, che da giorni attendono di essere controllati. Senza contare i centoquaranta positivi, che vanno ritamponati per almeno due volte ancora fino alla negativizzazione. Con il servizio territoriale di prevenzione e l’Usca che proprio non arrivano, carenti di organico e mezzi, lasciati soli a fronteggiare un fiume in piena.
“La sanità non è propaganda” tuona dal tribunale per i diritti del malato Catia Puglielli, che ha raccolto più di una testimonianza di positivi e non “abbandonati a se stessi dalle istituzioni”. Come d’altronde molti altri: “Siamo chiusi in casa da quasi due settimane perché siamo stati a contatto con un positivo accertato – racconta un uomo di Pettorano sul Gizio – non si sa quando e se ci faranno il tampone. Nessuno che ci dice niente, i numeri verdi che diventano rossi, le poche risposte evasive: solo non so, attenda. E noi non sappiamo che fare”.
In realtà a disciplinare la materia è la legge che dice che dopo la quarantena per essere stato a contatto diretto con un positivo, in caso di assenza di sintomi, di fatto si è liberi di uscire. Con tutto quello che questo comporta per il rischio di diffusione del virus, perché molti di questi potrebbero essere asintomatici e ancora portatori sani. E d’altronde se nessuno li visita e testa, non si può pretendere che restino agli “arresti” domiciliari.
Questa settimana molti dei primi messi in quarantena in questa seconda ondata avranno superato le due settimane di clausura forzata, perché le prime notifiche dei focolai più grossi, quelli di Ferragosto e della parrucchiera, sono di fatto arrivati a scadenza essendosi sviluppati subito dopo la metà del mese di agosto.
Negli ultimi venti giorni si sarebbe dovuto fare quello che non si è fatto: far venire medici e infermieri dall’Aquila e da Avezzano, dove tra l’altro abbondano, per alzare un argine alto al contagio, per evitare che anche solo un ritardo in un tracciamento non creasse un effetto a catena. La quantità di positivi al Covid in Valle Peligna è forse anche frutto di questa colpevole disattenzione della politica e della sanità pubblica.
Martedì scorso l’assessora Verì e i vertici della Asl sono venuti a Sulmona a rassicurare e promettere: a distanza di una settimana, di vitale importanza, però, nulla è cambiato. Molto è peggiorato.
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