È una crisi inarrestabile quella che riguarda la demografia delle aree interne. Se l’Abruzzo perde complessivamente abitanti fra le quattro province è quella dell’Aquila a segnare il dato peggiore, raggiungendo livelli preoccupanti che dovrebbero far riflettere chi rimane e chi ha l’onere di amministrare. Nei primi 9 mesi del 2019, la provincia aquilana ha perso 2158 residenti di cui 1265 dovuti al saldo naturale morti-nascite e 893 dovuti al saldo migratorio verso altri territori. Di questi ultimi il 60% sono uomini e il 40% donne. Con un indice percentuale di incidenza rispetto alla popolazione dello 0,7% in meno rispetto all’anno precedente, quello relativo alla popolazione dell’intero Paese si attesta a un indice percentuale pari allo 0,19%, quello relativo all’Abruzzo è pari a 0,46%. La diminuzione complessiva di popolazione regionale è pari a 6072 residenti, di cui 4753 per saldo naturale e 1319 per saldo migratorio.
A snocciolare i dati questa volta è la Cgil della provincia dell’Aquila che con il suo segretario Francesco Marrelli lancia un grido d’allarme: “Il tempo è scaduto: adesso bisogna reagire!”. Il trend nazionale è chiaramente negativo, ma questo è un dato arcinoto, quello che però dovrebbe spaventare è la velocità con la quale tendono a spopolarsi le aree più marginali e o interne. Diminuzione della popolazione alla quale segue sempre una riduzione dei servizi – trasporti, sanità, scuola e infrastrutture, a cui si aggiungono quelli bancari e postali – in una spirale perversa della quale non si vede la fine. Certo è che non esiste città senza montagna e viceversa, soprattutto in Italia dove la “provincia”, è il vero serbatoio di servizi che poi vengono forniti alle città, pensiamo alla filiera alimentare.
I vuoti lasciati nelle aree interne come l’aquilano non vengono riempiti se non in rari casi, ma questi appaiono più come delle eccezioni e comunque questo tipo di trend nella nostra Regione non è in alcun modo “sostenuto” dalla politica. I dati parlano chiaro: non c’è né la capacità di sostituire questo divario con nuove nascite, né con nuovi arrivi – e qui pesa secondo Marrelli “la mancanza di lavoro e la precarietà per le nuove occupazioni”. Pensando alla narrazione di una certa politica sovranista viene da dire: se l’invasione è in corso, sicuro non è in Abruzzo.
“Il nostro è un territorio di grandi potenzialità – conclude Marrelli nella sua nota – che vanno tuttavia messe a valore attraverso percorsi di crescita condivisa. Le ragioni dello sviluppo passano necessariamente attraverso la cura e la valorizzazione delle specificità locali. Per questo motivo la CGIL immagina l’avvio di una nuova stagione di confronto politico, che ponga al centro le possibilità legate ai finanziamenti europei e la possibilità che la nostra provincia possa proporsi come un laboratorio d’iniziativa, dove sperimentare i temi dello sviluppo sostenibile, dell’inclusione sociale e dell’innovazione tecnologica, che sono l’asse portante della programmazione comunitaria che va dal 2021 al 2027. A nostro avviso occorre stringere un patto politico locale fra le parti ed aprire nuova fase, in grado di sostenere le iniziative imprenditoriali più innovative, per dare ai nostri giovani delle ipotesi di futuro, senza per questo svendere il nostro patrimonio ambientale o chiudere le porte ad ogni ipotesi di sviluppo. Non abbiamo alternative di tipo conservativo, che possano evitarci ciò che sta accadendo”.
Non sono dati reali ……ne mancano molti ma molti di più…..che hanno si la residenza qui ma non ci vivono più da tempo…..rimangono qui per non pagare imu prima casa ….assicurazioni auto che in città gli costerebbe il triplo o il quadruplo …..ma basta farsi un giro per capire il vuoto assoluto…..