Non capita mai di vedere un cervello in fila col trolley al check in dell’areoporto, un ammasso di gangli nervosi che si toglie la cintura al metal detector. Non te lo figuri addentare un fattoria da 5 euro seduto al bar dell’imbarco, passeggiare fra gli shop dei prodotti tipici, unici avamposti rimasti orgogliosi dell’attributo Italiano. Non ce lo vedi a trascinarsi la valigia nei sottopassaggi arrugginiti, sui tapis roulant scassati, fra cacche di piccione e mattonelle riappicicate. Fumarsi l’attesa nel girone in alluminio anodizzato dei condannati al vizio, in piedi fra facce annichilite e spaesate come in attesa in un reparto terminale.
Un cervello che fugge è ufficialmente solo un dato Istat di fine anno, il bollettino di Radio Londra che fa la conta dei caduti: 816 mila in dieci anni, di cui i ¾ giovani e laureati. Non ti fa pensare che attaccati a quel cervello ci siano un paio di braccia, due occhi, un fegato soprattutto – che per andarsene ci serve-, un cuore, che si spacca a metà.
Che per ogni trolley sul nastro trasportatore c’è una storia unica, un patrimonio, un contesto, una famiglia, una comunità che ne farà a meno. Un’occasione persa per chi lo lascia andare, non per proiettarlo verso un futuro migliore – come sarebbe sano -, nè per incitarlo ad esplorare realtà diverse e farne tesoro, quanto perchè non gli lascia alternative.
Fuga, nell’accezione comune, presuppone una vigliaccata, il tentativo di estremo ripiego a una minaccia o a un misfatto, come un qualsiasi malfattore patrio che scappa dalle sue responsabilità. Non si dice fuggiasco a uno che può permettersi di scegliere se andarsene o restare, partire sapendo che può tornare in un qualsiasi momento: questi si definisce più appropriatamente viaggiatore.
Un cervello invece nella metafora ufficiale si dice fugga e, fuggendo, fa numero. Almeno finchè compra il biglietto aereo perchè dopo sparisce dalle statistiche e dalle preoccupazioni collettive per ricomparire nei bilanci di fine anno, o nei voti spesso astenuti degli italiani all’estero. A un cervello emigrato nemmeno un aiutino per rientrare se costretto da forze maggiori, una malattia, un lutto, una nostalgia, o almeno un voto alle elezioni: nessuno va a cercare un cervello per sapere come se la passa, dove sta, se ha imparato qualcosa che potrebbe insegnarci, inorgoglirci o farci vergognare.
Nell’altro universo in cui atterrerà un cervello emigrato non trova ad accoglierlo a braccia aperte un mondo amico, un fruttivendolo che lo conosce, un barista che gli chiede il solito?, un amico da chiamare, una piazza o un palazzo per orientarsi se si perde, una lingua o un gruzzolo che lo rassicuri, un’espressione degli occhi del prossimo che non ha bisogno di interpretare. Lo sconosciuto che ti guarda in un paese estero non è fra i due lo straniero, sei tu, cervello fuggito, l’alieno, soggetto a regole e codici comportamentali non tuoi.
Aumentano a ritmo del 120% i fuggiaschi in giro per il mondo, alcuni soddisfatti e sicuri di non tornare nemmeno per editto, altri spaesati a desiderare un piatto di spaghetti, una passeggiata col figlio, una notte col partner.
Tanti usano il cervello, altri le mani, le gambe, le spalle: ricercatori indesiderati, partite iva chiuse, professionisti precari, ma anche sempre più pizzettari, operai, friggifritture, gelatai e commesse. Che nelle statistiche forse non si conteggiano come cervelli, sebbene ne abbiano pur sempre uno, insieme a un fegato e un cuore.
Si sottintendono giovani quasi per assonanza, ma, sebbene gli under 35 rappresentino il 73% dei fuggiaschi, l’Emigrazione Reloaded di questi tristi anni Venti è trasversale a età, genere, provenienza sociale, cultura e formazione, urbana e campagnola che sia.
Alcuni privilegiano i paesi di sempre, Londra, Berlino, Parigi, antichi paradisi di emigrazioni passate che oggi già mostrano i medesimi guasti del neoliberismo finanziario globalizzato; altri vanno a cercare speranze in paesi emergenti che possono permettersi, per trovare fermento ricostruttivo, occasione di futuro possibile in contesti tutto sommato meno ostili dei nostri alla speranza. Altri ancora vanno e vengono, senza fissa dimora pendolano in cerca di mercati interessati, per poi rientrare a fare numero fra i rimasti.
Ma comunque, qualsiasi attività faccia, qualunque parte del corpo usi, qualsivoglia la provenienza, l’attitudine, il tempo di permanenza, la gravità del malaffare da cui fugge o l’occasione che se ne potrebbe trarre, per un cervello in fuga una sola cosa è certa: il suo Paese dietro le spalle non c’è, se l’è dimenticato.
Giusto il tempo di contarlo a fine anno per piangere sul latte di cocco di mamma versato e giustificare le promesse elettorali del potere di turno che sul dato Istat lucra consensi.
Nemmeno un misero ufficietto pubblico in realtà che ne tenga un data base e che almeno a Natale rimedi dalle compagnie aeree, che sulle feste comandate lucrano a man bassa, uno sconto per il rientro nel cenone familiare.
Antonio Pizzola
Ma guarda che fregnone.lo vorrei vedere in faccia chi scrive queste corbellerie. Gli Italiani,”per natura” sono tra i più intelligenti del mondo, veloci e pieni di inventiva (il rinascimento è uno tra i mille esempi) .Se in Italia hai messo e fai funzionare da decenni le università aperte alle masse popolari e non più alle classi elitarie come sino agli anni 60, i ragazzi escono laureati,poi fanno i concorsi (e specialmente nelle multinazionali che se ti danno uno e perché frutti dieci e non guardano in faccia a nessuno se sei nero bianco giallo o rosso ) ed i test di ammissione per i lavori all’estero dove il concetto di raccomandazione non lo concepiscono proprio , e ,vengono presi, perché mediamente sono molto bravi,e vanno a lavorare in tutti quei settori dove è importante l’intelligenza. Cervelli in fuga non si capisce che cosa debba significare, Se cerchi su Google “entre la grave e profonde Allemagne et l’Intelligente Italie” trovi questa osservazione (che riportò Benedetto Croce nella Storia d’Europa) quindi non si comprende quali cervelli e quali fughe vi state piangendo,,se è un evento di grande elevazione storica l’accesso alle università per tutti poi il risultato è che per lavorare in campagna devi fare arrivare gli immigrati dall’Africa dove le università non ci sono.
Per completezza,e ti viene in mente, Fabrizia Di Lorenzo,(a parte come gli è purtroppo andata) per entrare a lavorare a Berlino mica ha dovuto votare o farsi raccomandare come per la saca la cogesa le poste etc.ma ha dovuto superare i test di ammissione e dimostrare solo e soltanto le sue capacità. Se nella “grave e profonde Allemagne ” un italiano è più bravo di un tedesco prende il lavoro e il tedesco resta dietro.
Vabbè,saca cogesa. Per la gente che può solo testare in loco oppure che è stata rinviata all’origine ,in qualche modo ci si deve porre soccorso.
restare
Renato, sono il fregnone che ha scritto queste corbellerie e che è talmente fregnone che fatica a capire il tuo commento. A me non pare di aver scritto che gli italiani sono stupidi (che siano i più intelligenti del mondo mi pare un pò estremo), che non debbano fare l’università e che non sia un bene la libera circolazione delle menti e delle risorse. Però se tu hai letto questo non avrai difficoltà a citarmi i passaggi. E se non ti sembra che il Paese li abbandoni ai loro destini senza un minimo di supporto o di stimolo a rientrare fosse solo per portarci la loro esperienza, fammi un solo esempio virtuoso. Ti ascolto.
Secondo me non sai scrivere affatto. Esprimi concetti banali e mielosi,improponibili assolutamente.Con l’animo del cafone (siloniano) di decadenza marso-peligno citi pretese di piazze nostrane per farsi i ragionamenti, di bars per la grande importanza del caffè,e l’opportunismo accattone di uno sconto su un biglietto aereo (che ,europeo, costa 50 euri)come quando anche gli apolitici approfittavano dei viaggi in treno gratis nord-sud per le elezioni (uguale come la opportunità delle liste polizia penitenziaria alle comunali).Con questo animo allora tanto vale non partire affatto e farsi la raccomandazione per la saca con un blocco di voti dei parenti..Le mura del Cremlino sono state costruite da ingegneri Italiani la famosa scalinata di Odessa (dove i contratti commerciali si stilavano in italiano) è stata progettata da un italiano. Questo è il vero spirito italiano fatto di intraprendenza che ci proviene dai secoli. Chiaramente Sulmona si è inclinata nel degrado ed ha perso la mentalità ,se per come è ridotta, esistendo anche città “Ovidiopol” con il nome di Ovidio, non è stata capace neanche di celebrargli il bimillenario, quando Ovidio è stato lo stimolo di massimo riferimento culturale anche del rinascimento italiano ,almeno 100 volte più importante di Fellini o di Beethoven, ma purtroppo non è nato a Bonn od a Rimini ma in una Sulmona ove da Sulmontino non pensi altro che alla importanza di cercare di fare la cresta sulla agevolazione od un rimborso di un biglietto aereo come un qualsiasi parlamentare europeo che va a Bruxelles.
però mi pare che sui concetti banali e mielosi che esprimo tu ti sia soffermato più di un attimo, elucubrando a tua volta ma appuntandoti su principi che hai interpretato – lasciatelo dire – sfuggendo al significato che volevo esprimere. Probabilmente perché non so scrivere ho dato adito ad interpretazioni aliene che rischiano di uscire fuori tema. Ma è una mia opinione, mi auguro rispettabile come la tua. Un abbraccio, in futuro ti auguro di trovare letture più interessanti della mia a cui lasciare commenti parimenti densi di significato
Guardi che rileggendo l’articolo, ribadisco,che forse influenzato da Franco Brusati, hai smieleggiato anacronistiche gesta di neorealismo cinematografico sentimentalmente compiute ora dal drammatico animo dei cervelli in fuga. Altrimenti è un bene che le frontiere siano libere e si possa lavorare ed esprimersi quasi dappertutto.Anzi ormai, come gli USA, con la Brexit ,l’UK darà permessi di soggiorno solo per meriti personali, e, in esempio,la scuola cuochi di Villa Santa Maria ,insieme agli altri istituti alberghieri, sarà una contemporanea sezione consolare degli USA e dell’Inghilterra perché il diploma da chef od altra specializzazione significa parimenti permesso di lavoro e passaporto USA,diversamente senza professionalita’ non entri.Mentre ,ed al posto del rimborso aereo per tornare a Natale,una carenza “di pragmatica libertà” è nella carta RDC che i giovani disoccupati non ne possono usufruire nella UE ,a Berlino a Parigi ad Amburgo, ed un giovane in attesa del navigator che gli trova improbabile lavoro in provincia, potrebbe andare in prova per il posto da pizzettaro gelataio operaio commessa etc.e farla funzionare due mesi per pagarsi le prime spese di pasto o di alloggio intanto che non si regolarizza e prende lo stipendio. Saluti.
Che dire, può non piacere il modo dell’esposizione e ci può stare, ma è stato descritto un veritiero spaccato della società di oggi e non riferimenti ottocenteschi in nessun modo collimanti all’articolo.
Oltremodo anche i suoi commenti non fanno una piega, ma numerose grinze.
Chissà qual’é il suo virus “influenzante”, certamente un ceppo molto aggressivo,di tipo gastrointestinale e che non ha nulla a che vedere con i “sani virus radicali” di oltre oceano.
Mi ha commosso, per non dire altro!