Quella ragazzina di venti anni più giovane di lui, non voleva mollarla. Perché in grembo portava la loro bambina e perché lui, al tempo trentottenne, non si faceva capace del fatto che lei, a soli diciotto anni, avesse preso la sua vita in mano e deciso di crescere la sua piccola senza il padre. Gli aveva detto di no, di stare lontano e supportata dalla madre lo aveva messo alla porta.
Per questo Emanuele Amaradio, oggi quarantunenne, aveva cominciato nell’estate del 2016 a perseguitare la “suocera” e la sua ex: appostamenti, telefonate, minacce, lunghe attese alla stazione ad aspettare che lei tornasse dall’università, controlli quotidiani e continui, agevolato dal fatto di lavorare come muratore proprio in uno stabile di fronte casa delle vittime a Vittorito e, infine, le mani addosso e una spinta nei confronti della ragazza, nonostante fosse incinta al settimo mese di gravidanza.
Con l’accusa di stalking e lesioni personali, così, oggi l’uomo è stato condannato dal giudice del tribunale di Sulmona, Francesca Pinacchio, ad un anno e mezzo di reclusione, oltre al risarcimento delle parti civili (madre e figlia) da definire in separata sede.
“Per le mie clienti – commenta l’avvocato Iole Maggitti che rappresenta le vittime – la presenza di quell’uomo era diventata un incubo. Erano controllate praticamente tutto il giorno, tanto che fu necessario al tempo un provvedimento del tribunale che emise un divieto di avvicinamento”.
“Attendiamo le motivazioni – annuncia invece la difesa rappresentata dall’avvocato Adele Buccini – perché non si può a nostro avviso parlare di stalking e perché le presunte lesioni erano solo di pochi giorni di prognosi. Ricorreremo sicuramente in Appello”.
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