Non che mal comune sia mezzo gaudio, ma sapere che quello dello spopolamento commerciale è un problema comune a tantissime città italiane, ci fa sentire un po’ meno soli in una battaglia che troppe volte sembra persa. Come quando, a scuola, tutta la classe prendeva un brutto voto in un compito e ci consolavamo pensando che, probabilmente, a essere insufficiente non fosse la nostra preparazione, ma la spiegazione del professore.
Una strada senza negozi o, peggio, con negozi dalle saracinesche chiuse e sporche è brutta, se poi la strada in questione è lunga novecento metri e costituisce la zona più importante della città, quella che dovrebbe attrarre turisti e lasciare un bel ricordo del loro soggiorno, la faccenda è ancor più grave.
Di chi è la colpa? Della ztl? Dell’area pedonale effimera? Della carenza di parcheggi gratuiti? Degli edifici transennati e pericolanti? Delle tasse che tormentano i commercianti? Degli affitti dei locali troppo alti?
Di sicuro la mancanza di denaro influisce sulla questione: la crisi economica non smette di incombere su di noi, spingendoci a cercare di risparmiare in ogni modo, spesso a discapito della qualità, che rimane invenduta dentro i negozi cittadini.
La crisi produce crisi. Ogni negozio che chiude porta con sé un mancato guadagno, non solo per il commerciante che getta la spugna, ma anche per i commessi, i fornitori, i locatori, i tecnici della manutenzione, le imprese di pulizia, i trasportatori e tutto il resto dell’economia circolare che apporta beneficio e prosperità alla comunità.
Nonostante il numero dei locali vuoti aumenti di mese in mese, ogni volta la notizia dell’ennesima chiusura ci meraviglia e sgomenta, al pari una morte precoce: -Ma come è possibile, se l’ho visto aperto fino a due giorni fa?
Alla mia età è facile soffrire di nostalgia, perché di tempo ne è passato tanto e molte cose sono cambiate, soprattutto quelle che erano tanto belle e ci ricordano un’epoca per noi prospera e serena.
Dei negozi che frequentavo da bambina, accompagnando i miei genitori a fare spese, ne sono rimasti ben pochi. Allora non c’erano tasti da premere per acquistare le cose, ma negozianti competenti pronti a concedere il proprio tempo, i consigli, i sorrisi e una simpatica cordialità che spesso faceva la differenza.
Troppi posti non ci sono più ed è difficilissimo raccontare certe cose a chi non le ha vissute e non può capire come fosse bella la vita, quando non spendevamo tutti i nostri risparmi e il nostro tempo dentro i centri commerciali, dove tutto ciò che serve è a portata di carrello e si può stare al caldo a passeggiare, a mangiare e a vedere un film appena uscito.
Sulmona non è più quella di una volta, è vero, ma non lo sono neanche i suoi abitanti, perché a cambiare siamo stati noi per primi: nei gusti, nelle abitudini, nel modo di vedere la vita e affrontare le cose.
La causa del problema che attanaglia la maggior parte delle piccole città italiane non siamo certo noi cittadini e il nostro modo moderno di fare compere, così come non possiamo esserne, con il nostro piccolo portafogli, la soluzione. Anche se è semplice e sbrigativo dare la colpa alle amministrazioni e ai politici di turno, le responsabilità credo che siano molto più in alto e tanto più indietro nel tempo.
Ecco perché la situazione è così difficile. Ecco perché temo che Piazza XX Settembre non tornerà mai più ad essere l’agorà, il centro politico e sociale della città, che si è spostato in luoghi virtuali, dove è più semplice metterci o nascondere la faccia.
Ma parlare così non serve a niente, il futuro non può essere soltanto qualcosa che ci allontana inesorabilmente dal passato: è e deve essere anche un’opportunità, altrimenti lo scorrere degli anni non avrebbe senso.
Dobbiamo adeguarci ai tempi e riuscire ad apprezzare non solo quello che eravamo, ma anche ciò che siamo diventati, grazie alle nuove opportunità che nel frattempo il mondo ci ha offerto, come quella di fare shopping online, approfittando di bollini rossi e venerdì neri, oppure di passare una domenica divertente in famiglia in una grande struttura piena di negozi alla moda, lasciandoci sedurre dalle luci, dai colori e dalle offerte speciali di quel paese dei balocchi.
Tutto questo, però, non può farci dimenticare quanto potrebbe essere bello passeggiare in un centro storico con i monumenti curati, le strade e i vicoli puliti, i palazzi antichi ristrutturati, la popolazione cordiale, le botteghe caratteristiche e il profumo dei cibi tradizionali che sovrasti, o almeno si alterni, a quello dell’american food. E’ il fascino che aveva e dovrebbe avere ancora una città come la nostra, da esercitare non solo verso chi torna o arriva, ma anche su chi c’è e rimane. E’ un fascino con una gestione sicuramente molto costosa, che evidentemente non possiamo più permetterci.
Sulmona attrae turisti da tutto il mondo, grazie alla sua bellezza fatta di storia antica e paesaggi suggestivi. A quella bellezza rinunciano ormai troppi suoi abitanti, costretti a cercare altrove opportunità che qui mancano.
La nostra è diventata la città dei ritorni: per molti un posto da avere nel cuore, ma giammai come luogo di residenza. Un luogo amato in cui far ritorno, quando la nostalgia si fa insopportabile e il desiderio di mangiare le lasagne della mamma prende il sopravvento su tutto.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
AD ESSERE OTTOMISTI