Fino al 22 luglio scorso, ogni volta che venivo contattata da un operatore telefonico per essere messa al corrente di un’offerta vantaggiosa, che mi avrebbe fatto risparmiare sulla bolletta del telefono, della luce o del gas, chiudevo frettolosamente la chiamata con un “Non sono interessata”, prima ancora di avere ascoltato a fondo il motivo della chiamata.
Ma chi di spada ferisce, di spada perisce e infatti, da tre mesi, tra coloro che propongono le offerte vantaggiose e si beccano i “Non mi interessa”, i “Non ho tempo” e i “clic” in faccia ci sono anche io.
Continuo tutt’oggi a interrompere le telefonate promozionali che ricevo con la stessa frase di una volta, ma la pronuncio con estrema gentilezza e cortesia, perché ora so che la persona dall’altra parte del telefono non si è svegliata quel mattino con l’intento di interrompere il mio pasto, il mio riposo, la mia passeggiata o la visione della mia serie tv preferita: sta solo svolgendo il proprio lavoro.
Quello dell’operatore di call-center non è un mestiere facile per una persona umorale come me: sapeste quanto mi costa essere cordiale e ciarliera fin dalle nove del mattino, quando la vera me stessa vorrebbe solo grugnire e bere caffè bollente!
La prima volta che mi sedetti in postazione, avevo lo stomaco chiuso e il cuore in gola. Tutto quello che durante il corso di formazione mi era sembrato chiaro e lineare, era fuggito via dalla mia mente. Avevo dimenticato tutto. Tremavo così tanto, che la freccia del mouse replicava sul monitor il tracciato del mio battito cardiaco.
Una parte del mio cervello cercava di coniugare bene i verbi nel tempo e nel modo, cercando di trovare la preposizione giusta da declinare correttamente, l’altra parte si concentrava sul prodotto da esporre, magari con qualche termine tecnico d’effetto. Il risultato era un papocchio tentennante. Un disastro, come ogni prima volta della mia vita.
Ho dato persino la colpa al mio nome poco esotico, evidentemente non adatto per un approccio esclusivamente uditivo. Sicuramente un: “Buongiorno, sono Chantal, la sto contattando per…” sarebbe stato più d’effetto rispetto al mio: “Pronto, sono Raffaella”, che subito fa pensare a un barattolo contenente una quantità di fagioli da indovinare.
Con il passare dei giorni è andata sempre meglio, grazie ai Team Leader che hanno capito le mie noie e paranoie, ma soprattutto grazie ad alcune colleghe, senza le quali sarebbe ogni volta tutto più difficile.
Improvvisamente un giorno, come mi avevano da subito avvisato che sarebbe accaduto, è arrivata, improvvisa e molesta, la prima parolaccia a sorprendermi nel bel mezzo del mio discorso rodato e convinto. Ci sono rimasta male. Mi sono offesa. Ho ringraziato e salutato più gentilmente del solito. Ho riagganciato e respirato a fondo.
Poi ho raccontato alla vicina di postazione quello che mi era appena successo e abbiamo riso, perchè se è vero che “La vita è altrove”, è pure vero che tutta la giornata è vita e allora, in certi momenti, il sorriso delle colleghe, la battuta di un superiore e un caffè in sala relax diventano indispensabili.
E’ difficile non prenderla sul personale, quando un cliente sfoga la sua giornata storta rispondendo in modo insolente alle mie telefonate: occorrono una grande accelerata empatica, un turbo di tolleranza e un moltiplicatore di comprensione umana. In fondo, con questo lavoro, si entra nelle vite degli altri improvvisamente ed è facile beccare il momento sbagliato.
Durante questi mesi mi sono capitati svariati tipi di risposte a cui ogni volta ho deciso di credere: sto dormendo, sto dirigendo il traffico, sto consegnando gelati, sto su una scala, sto accompagnando mia figlia all’altare, sto per decollare, sto in camera mortuaria, mi sto facendo la doccia, sto guidando un treno.
Mi sono parse tutte scuse plausibili, azioni che effettivamente è possibile compiere a una certa ora del giorno. Mi è sembrato solo un poco strano che venissero fatte con un cellulare a portata di mano, per di più rispondendo a una telefonata non urgente, proveniente da un numero sconosciuto.
Ho creduto all’uomo con i gelati in mano, al tizio alla guida di un treno e pure a quello che doveva rincorrere una pecora fuggita dal gregge. Sono stata sempre gentile, paziente e professionale.
Giorno dopo giorno, ogni volta che tornavo a casa dopo un turno di lavoro, i miei figli mi sembravano un po’ meno petulanti. Mi sono scoperta più paziente e disposta al dialogo “a tutte l’ore-h24” anche con loro, riuscendo a non prendermela per i “Non mi interessa” e gli “Ora non ho tempo” che, detti dalla mia prole, sembrano più simpatici.
Grazie a questo lavoro ho imparato a rispettare i momenti “no” altrui, a incassare i “Vaffa” con leggerezza e ad aspettare il giorno più adatto per proporre la mia offerta vantaggiosa: a gelato finito, treno arrivato, pisolino terminato, accappatoio indossato, pecora ritrovata, figlia sposata e aereo atterrato.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
Grande Raffaella
Basta aspettare il momento giusto.
Miticaaaaaa!!!!