Cerco a qualsiasi prezzo i biglietti per il processo a Carola Rackete.
Non vorrei perdermi l’arringa del Pubblico Ministero per il grave reato di “violenza contro una nave da guerra”. Me lo immagino già all’opera il pm, arrampicarsi sui codici e sui cavilli per dimostrare che una ragazzina sulla barchetta con 43 disperati, lasciati a macerare fra le onde del Mediterraneo in attesa che il mondo civile trovasse una risposta, abbia organizzato una nuova Perl Harbor.
A lui, pubblico ministero da compito arduo, prima del processo racconterei una storia.
Da ragazzino avevo un esercito di soldatini perfetti, appena usciti dalla scatola. In divisa, armati, coi cavalli, i cannoni, la prima linea di inginocchiati, i carrarmati. Tutti dello stesso colore, perfetti.
E poi ne avevo una decina di spaiati, uno a torso nudo con bandana, un moretto col pugnale di plastica, un isolato caraibico con un panama ecru e un pasquarello con pecora, doppione del presepe.
Il mio gioco preferito, fan sfegatato quale ero di Tarzan, Sandokan, Diabolik e Zorro, era schierare l’esercito di regolari contro quella decina di improbabili combattenti da circo, per tener fede al principio principe di tutti i principi: i più sfigati avrebbero vinto sempre e comunque.
Non avrei potuto darla vinta ai più forti. Mi sarebbe immediatamente tornato il rigurgito della favoletta di Esopo, lupo che dice all’agnello ti sbrano perchè hai bevuto la mia acqua.
Mi sarebbero apparsi in sogno gli sfigati di ogni tempo divenuti eroi per imprese titaniche contro forze superiori, dal ragazzetto Davide contro il gigante Golia al Garibaldi romantico in ogni liberazione del mondo, fino ai Che Guevara (passando per Madre Teresa) di ogni rivoluzione e le migliaia di metelli di ogni tempo e luogo.
Poi, se dalla parte più debole della barricata ci fosse stata una Leon, moderna Giovanna D’Arco, la biologica e genetica propensione per il sesso debole che cercavo in ogni modo di sedurre, avrebbero immediatamente fugato ogni dubbio: prima la ragazzina senza se e senza so.
Deve essere stata questa la ragione per cui i grandi statisti, dai più illuminati ai più scaltri figli di mignotta della storia remota e recente, messi dinanzi ad un potenziale don chichotte pronto a sfidarli nonostante l’evidente inferiorità di fuoco, mai avrebbero mostrato i muscoli, perché sarebbe stato controproducente.
Ben consapevoli che l’incauta iniziativa si sarebbe risolta in un boomerang che in un tempo più o meno lungo sarebbe tornato a bussare alla porta.
Ma per giocare a questo gioco ci vorrebbe uno statista, non un misero tribunello padano che da ragazzino non giocava a soldatini.
Se l’avesse fatto, come me senza la disponibilità di una doppia scatola di pupazzetti regolari dalle forze pari, magari avrebbe, al contrario, scortato la ragazzina al porto, accolto il suo carico di disperati, e poi nominata sottosegretario, rigirando la defaillance in un ritorno di consensi globali con cui ricattare la Ue e l’Onu.
Perché il contrario, quello che invece è accaduto con la Sea Watch, agli occhi inteneriti del mondo sposta l’ago della bilancia fra le braccia della ragazzina vittima di un potere peloso, maschilista, e brutale che, a corto di argomenti pregnanti, ripiega la frustrazione da branco rammollito dalla tastiera in improperi da sotto bancone di cantina: ti dovrebbero violentare, portateli a casa tua, tornatene al tuo paese troia.
Insomma, l’improvvido capitano che statista non è, come il suo ex padrone Silvio messo in ginocchio non da un’opposizione politica, da un golpe militare, una rivoluzione popolare o una sequela di aule di tribunale, ma da una nipotina marocchina sveglia e determinata.
L’Empatia è una brutta bestia, direi al Potere, è quel virus che un vero statista sa accogliere, gestire e dominare per fagocitare l’anticorpo prima che si sviluppi: schierarsi sempre dalla parte delle vittime e mai del carnefice, Matteo, sono quelle regole basilari che non serve nemmeno studiare a scuola.
Per non soccombere sulle pagine di storia, come un qualsiasi re codardo, frocetto e impotente, che capitola dinanzi a una Leon disobbediente che spara in sequenza gigantesche palle di chewing gum.
Antonio Pizzola
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