No, non è stato il 68, è cominciato prima.
Già dalle grandi guerre che ci hanno costretti e umiliati alla schiavitù di massa, i maschi a morire in trincea e le femmine nelle fabbriche a produrre armi. E poi, all’uscita, di corsa a casa a reggere il paese.
Poi, a guerre finite, con un bilancio di più di 70 milioni di perdite, soprattutti maschi e giovani, è toccato nuovamente alle donne la lenta ricostruzione, dentro casa e fuori.
Mentre i maschi rimasti si distraevano verso l’orgia industriale produttiva e consumista del boom, le donne facevano “il lavoro sporco”, nel micro cosmo silente del formicaio operaio, nelle case, nelle strade, nei quartieri.
A crescere e forgiare da mamme e da papà le generazioni post belliche, gravando sulla sclerosi della colonna il peso delle conche d’acqua dalle fontanelle, l’accaparramento del pane quotidiano, la cura del tetto sotto cui stare, il sacrificio amorevole della coltivazione dei figli.
Per questo, quando l’orgia consumista negli anni 60 ha mostrato i primi cedimenti e il Maschio, sordo e cieco al valore del contributo dell’altro sesso, volle accomodarsi dinanzi alla tv frittatona e rutto libero mentre Pina era relegata a reginella degli elettrodomestici, Lei, forte della fatica, delle esperienze e delle competenze acquisite portando avanti la baracca, gli ha semplicemente detto no.
La coscienza del suo valore è stata la forza.
Una forza dirompente che non ha solo preteso la libertà di procreare per scelta, non ha solo affermato la parità di opportunità senza distinzione di pantaloni, ma ha trascinato nel fango anche i valori positivi dell’identità di genere, la naturale predisposizione genetica prima che culturale di ogni metà della mela ad evolvere l’umanità, proprio puntando su quelle differenze.
Il Maschio non ha colto l’occasione di quella rivoluzione, non ne ha capito profondamente l’occasione per una ridefinizione dei ruoli: ha saputo e potuto solo soccomberle, perdendosi nella nostalgia quell’elegia di maniera tardo romantica che non è mai stata reale. Ha cominciato a frignare di donne diventate maschi, cantando senza convinzione son padrone ancor della mia vita, come è bello vivere senza tu. Oppure, nei casi peggiori, non sentendosi all’altezza dell’amazzone al suo fianco che adesso tracciava il suo stesso sentiero, ha abdicato al senso sfogando la sua impotenza e la sua frustrazione in becera e controproducente violenza.
E stiamo ad oggi, tempo di profonda metamorfosi della convivenza sociale, che è un Tempo tinto di rosa.
E’ un Tempo di pancia non di forza bruta o di riflessione centrata, un Tempo di vibrazione incostante e mutevole che viviamo come un sogno in semiveglia, affaticati dalla rassegnazione del testosterone alla rinuncia e dall’affanno del progesterone ad esplorare, solo, privato dell’altra metà della mela.
Ma la Donna, diceva la buonanima di Paolo Pizzola, è come la Femmina: svolazza libera attorno alla montagna maschia, come nella coppia felice nella Passeggiata di Chagall: vuole sentirsi libera di volare ma tenuta per mano, certa del porto sicuro dove attraccare quando sente il bisogno di fermarsi.
Senza quel porto rinuncia a procreare, non ne ha tempo, non ne ha spazio: salta da una parete ad un’altra come una mosca in una campana di vetro, come un elettrone eccitato da un campo magnetico. E’ pura energia che non si esprime, ribolle in potenza demolendo a capocciate il perimetro fisico di quel contenitore, disposta a distruggere tutto in migliaia di pezzetti e a ferirsene, mentre il suo Uomo la osserva attonito e impotente da fuori, incapace perfino a tenderle la mano.
Questo è il momento, questo il loop in cui siamo caduti, questa la ragione per cui l’esplorazione che nel genoma è di Ulisse che incita i compagni a non essere fatti per abbrutirsi ma per non smettere di avere sete di Canoscenza, manca.
E Itaca, abbandonata dalla povera Penelope che sente la missione di dover sopperire al compagno depresso al fuoco domestico a fianco al cane Argo, resta senza trono, alla mercè di quei quattro Proci che vogliono farne carne da porco.
Riconquistiamo le nostre donne, compari, o l’Umanità resterà monca.
Antonio Pizzola
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