Il passo lento, cadenzato, a tratti dondolante, un rituale, un gesto penitenziale, in perfetto sincrono. Lo struscio, l’incedere trinitario, sono in tanti a ripeterlo lungo la processione, 260 uomini in rosso tunica, ma l’effetto è quello di un corpo unico, in armonia. I trinitari del rettore Antonio Di Nino, accompagneranno la processione del Venerdì Santo, quella del Cristo Morto, un’antichissima tradizione di quest’Abruzzo, la cui organizzazione fino al 1827 era nelle mani della Congrega dei Nobili, passata poi all’Arciconfraternita della Trinità, i cui componenti, i trinitari, operavano tra la gente peligna già nel 1300 in soccorso dei viandanti.
Alle ore 20.00 l’uscita dalla chiesa della Trinità per la processione serale, in una Sulmona, che come ogni anno sarà anche questa sera gremita, raccolta nell’assoluto silenzio e nel pathos. Ad aprire il corteo è il Tronco, opera del 1750, attorno il consueto quadrato realizzato dai portatori dei lampioni, segue il Cristo Morto, dietro la Madonna Addolorata, in lutto, con il pugnale nel petto.
Il coro dei 120, del “Miserere mei”, i garofani rossi, la banda, i mazzieri, i portatori, i velluti, le omelie. Il passaggio è raccoglimento, dolore, misericordia e attesa di rinascita, il percorso dei trinitari si snoda per le vie cittadine del centro storico, un percorso che traccia una croce immaginaria da San Panfilo alla a Porta Napoli passando per la piazza Garibaldi e davanti la chiesa di Santa Maria della Tomba dai confratelli in verde Lauretano.
Un appuntamento ricco di suggestione, storia, cultura e folklore, una processione che conduce al pensiero e alla riflessione. Sembrano lontani, i tempi della polemica sul tracciato, (in realtà 3anni fa) il motivo del contendere il percorso originario stravolto, ovvero l’ingresso in piazza Plebiscito da Corso Ovidio e non da via Serafini, che mise in contrasto i cittadini, l’allora vescovo e l’Arciconfraternita, con tanto di protesta del coro.
Anna Spinosa
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