La Stanza della Sincerità

 

Sinceri.

Si lo so, è difficile. Ci sarebbe voluto un esercizio quotidiano. Un’ora al giorno soli, davanti lo specchio la mattina appena svegli, ma senza altre distrazioni. Senza nemmeno l’etichetta dello shampoo o la mosca del silkepil a confonderci.

Un buco di stanza, una porta, una sedia, un neon a soffitto per tenerti sveglio e tutt’attorno solo specchi. Ripetuti all’infinito, davanti, dietro, di lato, sopra e sotto.

 

Un’ora al giorno nella Stanza della Sincerità.

 

Sembra una tortura vè?

Infatti lo è. Dirsi le cose in faccia guardandosi negli occhi pesti di ansie notturne non è attitudine alla quale siamo stati coltivati. Dobbiamo pagare un terapeuta quando andiamo in sovraccarico, ma pure con lui portiamo la maschera.

Reagiamo ordinariamente per preconcetti o per vicinanza empatica a categorie sociali preordinate e di tendenza. Nelle discussioni, che non sono tali perché ci preoccupiamo solo di masturbarci delle nostre certezze, non diciamo quello che sentiamo, – il buco nero che saremmo costretti a confessarci allo specchio della Stanza della Sincerità,-  ma quello che la maschera pirandelliana che indossiamo ogni mattina ci conduce a dire.

 

Datemi retta, nella Stanza della Sincerità scopriremmo verità insospettabili, che nemmeno il terapeuta più impietoso ci rivelerebbe.

Che, per dire, a chiunque di noi, buonista o chiusiportista sia, non gliene frega in fondo in fondo una beneamata dei sessanta, no stavolta cento, che in tutto forse quattromila, no, trentamila, che però la percentuale rispetto al 2003, che si cullano nelle onde del nostrum mare. Soprattutto di inverno che non siamo in vacanza.

Non spostano una virgola nella vostra vita di maschere pirandelliane se si salvano, annegano, entrano in qualche recinto europeo o se ne tornano a farsi violentare in Libia (che pure sta pacchia, colla guerra civile, mi pare finita).

Giusto a guardare il video scappa la lacrimuccia  che se fosse capitato al mio che gioca di là con la play, per quel corpicino spiaggiato come un cucciolo di balenottero a lessare al sole, ma mezz’ora dopo le cose, la casa, i casi e ciao.

Ci esalta l’esperienza dell’attimo, pro e contro il numero delle vittime al tg, più è sensazionale,  più attizza al combattimento serale sui social.

 

Sono una bestia,

concluderemmo in punizione nella Stanza della Sincerità, cogliendo quel guizzo di strabismo sadico all’occhio destro che normalmente attribuiamo all’ipocondria di una paresi imminente.

Pure la riprovazione per quest’ondata di fascistismo di rinculo che incanta la folla, davanti allo specchio sotto il neon si rivelerebbe in fondo solo il bersaglio della nostra rabbia e impotenza esistenziale.

A chiunque di noi sotto il neon, gli altri, chi più chi meno, stanno sul cazzo. Chi lo ammette coi rom, chi coi calabresi, salvinisti o pidioti, sempre primi in classifica.

Se uno indossa la maschera di chi è contro, per coerenza, va diritto a difendere le vittime. Chi invece giustifica il suo odio primordiale con qualche minchiata, -tipo sto peggio io che manco mi potrei permettere il barcone- si sente più in diritto di rivelarsi nella zona più satanica dell’Es.

 

Comunque e sempre bestie siamo.

Così, quando capita che un aizzapopolo ci butta nel ring dopo l’addestramento a tirare fuori tutta la merda che ribolle nel profondo, affamati di certezze col cerchio di chiodi al collo ogni chiodo un nemico, la bava che ci acidifica la gastrite, facciamo la stessa fine di Amores Perros, per chi s’è visto il film di Inarritu (per chi no, subito stasera).

 

E quindi?

La Stanza della Sincerità risulta socialmente pericolosa. Oppure più semplicemente ci fa una paura bestia. Servirebbe però certamente a una cosa. A farci capire che se stiamo messi tutti così, homo homini lupus diceva Quello, l’unica possibilità di sopravvivenza è la mattina indossare la maschera saldata a lettera scarlatta della bontà.

S.Francesco, Ghandi, il papa, Padre Pio, Madre Teresa e Che Guevara, Jovanotti, Allah o la pergamena di Buddah, le campagne dei Figli dei Fiori Bis senza gruppo elettrogeno, I Terrapiattisti e gli Altavististi, va bene tutto.

 

Perché il contrario significa svegliarsi la mattina dopo aver strappato dai camion che pare la guerra e preso a calci i filoni di pane in piazza come una pazza, che diobuono t’avesse vista povero nonno, ma pure papà, mamma, zii e compari d’accordo solo su una cosa, il tabù del Sacro Pane, qualunque rabbia tu stia covando, dico svegliarti dentro un buco di stanza sotto una luce al neon nel silenzio tombale tu e lo specchio che ti ripete all’infinito, dopo un quarto d’ora di sorpresa ma pure prima, sincera,

 

Non puoi che sentirti una merda.

 

 

Antonio Pizzola

 

 

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