Sono molto permalosa: zellosa. Mi offendo facilmente, soprattutto se vengono toccate determinate corde del mio animo, seppure goliardicamente o con un plettro d’avorio.
Non mi piacciono gli scherzi: trovo il lasso di tempo che precede la rivelazione della burla, pieno di sadismo e cattiveria.
Sono lunatica: se un pensiero cupo mi si palesa all’orizzonte, vorrei che tutto il mondo abbassasse il volume di ogni frivolezza, rispettando il mio momento di tristezza. Solo un breve standby: le mie lune sono veloci e poi il party della vita può riprendere.
Non sono vendicativa, anzi, ma in certe occasioni mi si disegna sul viso un’espressione da piccola fiammiferaia assiderata, che pare sia più efficace di qualsiasi vendetta.
L’elenco dei miei difetti sarebbe ancora lungo, ma non mi preoccupo: so che lo sarebbe quello di chiunque.
È dura la vita per chi ha a che fare con me: non si sa mai da che verso prendermi, bizzarra e umorale come sono.
Invece basterebbe poco: un piccolissimo sforzo, una lieve accortezza, un preambolo delicato, un caffè già zuccherato.
Lo dico sempre: “maneggiare con cura, leggere attentamente le avvertenze e le modalità d’uso”. Questa raccomandazione, guardando bene, la si trova scritta, più grande della data di scadenza, sul cuore di chiunque.
Senza le informazioni necessarie, è ovvio che tutto sembri più complicato di quanto effettivamente sia.
Ma il malocarattere non può certo giustificare i miei errori e quindi mi impegno a smussare gli angoli, ad arrotondare gli spigoli, a piallare le imperfezioni e a cancellare le lune, vestendo di calda lana la piccola fiammiferaia triste che è in me.
Conto fino a tre, prima di parlare quando mi sento colpita, perché è quasi certo che non si tratti di una questione importante: sicuramente ho frainteso, oppure non ho capito la battuta.
Se non mi passa, conto fino a dieci, a cento e a mille. Funziona: la rabbia si assopisce e riesco ad allontanare l’onta subita, senza nessuna reazione apparente.
Cerco di non avere mai rabbia nel mio cuore, ma solo secondi da contare. Secondi in cui rivivo ogni episodio della mia vita in cui ho provato quella maledetta sensazione di non essere capita, considerata e stimata come avrei desiderato. Mi tornano alla mente tutte le battute che mi hanno abbattuto e ogni frecciatina che mi ha trafitto.
Lascio scorrere quei secondi, uno dopo l’altro, a gruppi di sessanta, in minuti di ore, nei giorni che fanno i mesi e poi gli anni.
Li conto, proprio come si fa con le pecore prima di addormentarsi, affidandosi a quel gregge che sappiamo ci porterà verso il bel sogno di un buon sonno, e immancabilmente tutto si sistema.
Riesco a capire, mi adeguo, chiedo scusa, perdono, mi perdono, ristabilisco gli equilibri e spiego come vedo io la situazione, dalla mia posizione, che forse a volte è un po’ singolare, scomoda e strana, ma chi può stabilire cosa sia la normalità a questo mondo?
Il gregge? Beh!
Mi piace discutere e parlare fino allo sfinimento, non so litigare e non so gridare, ma credo che potrei imparare, visto che va tanto di moda.
Probabilmente basterebbe solo cominciare, urlando la prima parolaccia e la seconda offesa, poi tutte le altre verranno spontaneamente dietro.
Starei sicuramente meglio, temuta e rispettata, e non vivrei più di attese, annegando nei secondi da aspettare, affinché tutto passi e torni il sereno, dopo una tempesta che credeva di essere guerra, ma non ha trovato nemici.
Non rimarrei più indietro, come l’ultima delle pecore del gregge da contare: quella a cui non tocca mai, perché ogni volta il sonno sopraggiunge e tutto finisce prima che arrivi il suo turno.
Per quella pecora le notti trascorrono invano e la sua vita diventa un aspettare eterno, solo perché non ha la forza e il coraggio di spingere una collega, mandarla a quel paese, rubarle il posto e saltare finalmente dall’altra parte della staccionata, dove nessuno sa esattamente cosa ci sia, ma è il posto in cui tutto il gregge vuole stare, confidando evidentemente nel bel sogno di un buon sonno, che presto arriverà.
E allora: -Va beh!
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
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