Da Gramsci e De Gasperi di qualche lustro fa, al Gabibbo e Totò dei giorni nostri: il salto del livello delle citazioni nel consiglio comunale di Sulmona sarà pure un segno dei tempi, ma è un segno avvilente. Che i Monaco, gli Autiero, i Bolino, i Trotta, i Susi e i De Deo, si staranno ribaltando in quella cassa. Perché mostra il decadimento culturale della massima assise e, come un naturale specchio, quello della comunità tutta. Eppure questo è, e non c’è nemmeno da meravigliarsi in fondo, se le citazioni fanno il paio con la coerenza politica. Con la nuova frontiera del trasformismo che consente di essere “all’opposizione politicamente, ma in maggioranza amministrativamente” – così ha detto il democratico Fabio Ranalli – e ancora con una nuova maggioranza che mette insieme sulla carta Pd e centrodestra, ma non sui banchi, quelli no, che senza più il voto elettronico le mani alzate bisognerà cercale di volta in volta negli angoli del Palazzo. No, il clima e la situazione non aiutano a superare la confusione, piuttosto la alimentano. Che dopo la fine dei partiti, non si può contare più sulle direttive e neanche sulle rivalità storiche dei capi bastone: ieri acerrimi nemici, oggi compagni di merende. Basta un branzino e tanto contorno per far saziare tutti, ma proprio tutti e dimenticare quel che è stato, anche se duro, durissimo è stato. Meno di tre anni fa, di questi tempi e poco meno, vale solo la pena ricordarlo, Bruno Di Masci invocava la magistratura per teste di gatto trovate appese davanti l’uscio dei suoi candidati, per le frasi di minacce ricevute dai suoi sostenitori e ancora per le accuse che gli aveva rivolto proprio la Casini, in merito alla sua collaborazione alla stesura del Piano sanitario che, ironia ha poi voluto, essere approvato dalla Casini e non da Di Masci. Tutto passato (e chissà se davvero denunciato), tutto dimenticato: destra, sinistra, centro, odi et amo. E così i giovanotti di bella speranza di sinistra, o professati tali, si ritrovano a sparecchiare il tavolo della mensa del consiglio regionale alla nuova rappresentante del territorio, in quota centrodestra però; la sindaca a servire il caffè nella speranza di incrociare l’assessore alla Sanità o stringere la mano al suo nuovo presidente fratello d’Italia, mentre tra i banchi della sua Sulmona c’è chi indossa la camicia rossa. Quella del Gabibbo, però.
Le sedi dei partiti una volta erano frequentate. Si discuteva, si lottava, si sperava. Ora le sedi sono deserte. Dove si ritrovino i politici, i sudditi nemmeno lo sanno .
Solo Di Masci appare , una tantum, in occasione dei congressi del Pd. Si porta dietro le truppe cammellate: poveri contadini al seguito: che cosa prometterà loro l’astuto Bruno?
Scrive bene Vincenzo Rossi.
Non era un mondo idilliaco, ma si credeva nel mutamento, si partecipava alla vita politica nelle sedi dei partiti. C’era una visione di futuro, c’era speranza. Siamo arrivati nella terra promessa o la delusione scotta tanto che ce ne stiamo rintanati,rifluiti nel privato?