Non c’è molta differenza tra le mani alzate per votare un amministratore imposto e quelle tese per reggere un ombrello. Dalla Fonderia dell’Abbazia alla munnezza del Cogesa, insomma, il passo è breve e non solo fisicamente. E’ la rappresentazione istituzionale e di costume della politica di oggi: il nuovo machismo del “qui comando io”, che poi di nuovo non ha proprio nulla; piuttosto sa di arcaico e medievale. E se le “ombrelline”, come sono state soprannominate dalla stampa italiana le sei sventurate chiamate a riparare ministri e presidenti dalla pioggia e dal sole durante i lavori di Fonderia Abruzzo, sono comunque destinate ad essere una (brutta) parentesi estiva, diversi saranno gli effetti invece della prova di forza e di potere consumata nelle stanze del Cogesa, dove proprio come quelle “ombrelline volontarie”, dodici tra sindaci e sindache, nonostante i moniti di illegittimità dei Revisori contabili, hanno diligentemente alzato la mano su ordine dell’assessore regionale Andrea Gerosolimo, mettendo alla guida della più importante azienda abruzzese dei rifiuti chi diceva lui, uno che gli è stato vicino nell’ultima campagna elettorale e che, tra la presidenza del Gal che già ricopre, la professione e i suoi svariati interessi imprenditoriali (dalle vacche all’editoria), dovrà trovare il tempo di occuparsi anche di questa azienda pubblica da 13 milioni di euro di fatturato l’anno. Tant’è che colta da uno scrupolo dell’ultima ora, la sindaca di Sulmona, ha proposto e annunciato che il valente nuovo amministratore, sarà comunque messo sotto tutoraggio del presidente uscente Giuseppe Quaglia per il quale è già pronto un contratto di consulenza, che ovviamente pagheranno i contribuenti. Incrociando le dita per un’azienda che appartiene a tutti e che eroga un servizio fondamentale e delicato quale è quello della gestione dei rifiuti, bisogna prendere però atto che la forzatura della nomina al Cogesa ha di fatto disintegrato l’unità territoriale del Centro Abruzzo, con trentadue sindaci che hanno abbandonato l’aula prima della votazione e un riverbero politico che si è sentito fin dentro i condomini di ogni partito. E questa, al di là di hostess e interessi di bottega, è la più grande sconfitta che la politica poteva subire. O provocare. Con i “muscoli del capitano pieni di plastica e di metano”, intonava il Titanic.
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