Mia madre, una volta, litigò con una parente, a suo dire pettegola, gattamorta, ruffiana, maligna, e non ultimo un po’ zozzetta per i suoi standard. Quel genere di donne che sintetizzava in un definitivo chell’è na puttana.
Quanto le mie tenere orecchie ascoltarono in quell’occasione, quel crescendo di epiteti e perifrasi che dall’inziale occhio torvo culminarono in evoluzioni indicibili, capelli strappati, unghie insanguinate, mani roteanti che nella moviola del ricordo volavano sul viso avversario sollevandone schizzi di saliva, urla e sudore e sangue.
Roba che Tarantino, a confronto, un pivello.
Per concluderne che quando due donne litigano tocca starne lontani, per le conseguenze nefaste che possono derivarsene: nei casi più estremi l’efferatezza può raggiungere eccessi sublimi, letterariamente parlando, ma, purtroppo anche lutti, e agli achei tutti.
Lei, mia madre dico, probabilmente non avrebbe mai voluto che sputtanassi pubblicamente i suoi scheletri nell’armadio, ma è stato momento altamente istruttivo nella mia educazione, me lo figuro ancora come fosse reale. Talmente vero da considerarlo passaggio irrinunciabile per convincere entrambe a farla finita con quell’astio pluriennale e rassegnarsi ad una civile convivenza, se non, come nel tempo avvenne, ad una forma di simil-affetto.
Fu necessario si guardassero negli occhi, cogliendo ogni istante del crescendo di sentimenti e mimica, voce che si spezza, muscoli contratti, occhio stretto alla lacrima, narici che si allargano come a X la gatta, quando a sfregio la sveglio dal relax, per stemperare infine nel pianto consolatorio l’epigono. Nessun fraintendimento, nessun malinteso, tutto tragicamente reale, lì davanti, minacciosamente a due passi dallo scolapiatti della cucina.
A restarci e reggere la sfida ci vuole stoffa, – le palle, direbbe un volgare maschio alfa-, rischi di subire roba pesante, mica un pollicetto giallo all’ingiù o tre emoticon con le gotine rosse.
…
Manca quella stoffa, oggi. Rinchiuderci dentro il perimetro rettangolare del nostro schermo come tanti totòriina al 41bis impossibilitati alle relazioni con l’esterno, ci ha confuso le carte nei rapporti reali.
Alla compromissione fisica abbiamo preferito l’alienazione dei msg virtuali, gli interminabili soliloqui senza interlocuzione né contraddittorio, ciascuno con la sua ragione da inviare all’interlocutore, per provocarne per reazione un contro-monologo altrettanto autistico. Tutto per evitarci l’esposizione al sentimento, al rischio del confronto che possa rivelare fragilità, inadeguatezze, paura, batticuore.
(Perfino l’amore, per quel poco che ancora si rimorchia, passa dai primi approcci sui monitor).
Nessuna censura, nessun ripensamento o distrazione, la rabbia cova dentro, si gonfia, ha bisogno di eccedere per manifestarsi, provocare la sfida, e al momento giusto colpire, davanti al colosseo planetario di emoticon di gradimento o di avversione. Meglio se da casa, gratis e senza conseguenze, giusto il tempo di ticchettare qualcosa di sensazionale– che male c’è?, se si incazza ci ha la coda di paglia-.
Per questo la signora che giorni fa ha usato contro un’altra signora vigliacchi e ingiustificati improperi, insopportabili perfino per mia madre che si scagliava contro l’odiosa parente, provocando un bailamme di reazioni a catena fino farne un caso politico, amareggia ma non sorprende.
Non c’entra col razzismo o con la politica. E’ solo la certificazione che la nostra esistenza virtuale crea tilt nella reale: tutto quanto transita sullo schermo non smuove empatia perché non sembra reale, quanto piuttosto un videgioco di ruoli i cui i personaggi sono il riflesso dell’occhio che sta dietro il monitor.
Quello stesso occhio che incontriamo sempre meno nella vita reale.
Con un faccia a faccia probabilmente non si sarebbe neppure creato il caso: difficilmente sarebbero volati insulti così pesanti e violenti, le regole, i modi e la censura del contesto, guardarsi negli occhi, annusarsi, ascoltarsi, misurarsi, rispondere alla naturale empatia genetica, non l’avrebbero permesso, se non in casi estremi e per conflitti realmente drammatici.
Per questo non è l’azione giudiziaria la soluzione, quella al massimo può servire a restituire un peso reale a gesti apparentemente insignificanti.
C’è bisogno di riappropriarci di un senso per uscire dal rettangolo in cui ci siamo reclusi, riavvicinarci all’altro fino a ricominciare a toccarci. Come San Tommaso, almeno per distinguere quando siamo veri da quando finti.
Antonio Pizzola
Complimenti per l’articolo.
Io sono del parere che il brodo si stia allungando un po’ troppo e quando si allunga se ne stempera il sapore e diventa insipido. Certo ,una cosa ha ottenuto la sig/ra Nannarone, tornare alla notorietà. Era caduta inevitabilmente, dopo la sua parentesi provinciale, nel dimenticatoio(mi riferisco alla politica) . Dopo l’esposizione di quello striscione,invece è tornata agli onori delle cronache. Uno striscione esposto ,sponte sua,credo, senza nessuna autorizzazione pubblica, che ha sortito l’effetto desiderato; che se ne parlasse, difatti se ne parla. Una trappola che ha incastrato anche l’improvvida signora, che ha reagito con truculente parole,degne di un trivio da strapaese. Io mi sono chiesto, ripensando alla frase sciorinata da quel balcone, in occasione del comizio di Salvini e desunta dalle Metamorfosi di Ovidio, se sia una cosa seria confondere il MITO,QUELLO DI FILEMONE E BAUCI con la realtà e se sia auspicabile confondere una frase al singolare con una al plurale(lo straniero con gli stranieri a migliaia).Se avesse scritto “empio è colui che non accoglie migliaia di stranieri” credo che avrebbe avuto ben altro effetto. Certo Filemone e Bauci accolsero due viandanti, dico due, che poi si rivelarono dei dell’Olimpo e ne ebbero ricompensa, ma l’Italia ormai HA ACCOLTO, RIPETO HA ACCOLTO , MIGLIAIA DI STRANIERI e non ce la fa più. Ecco la realtà, rispetto al mito. Partire dal mito e scegliere considerando la realtà, ecco la mia ricetta.
“”Nonostante questi poetici esempi l’antichità stessa è stata, nei confronti dell’Altro, sempre profondamente contraddittoria. Il mito infatti trasfigura il reale, idealizzando tutta una serie di valori che nella pratica politica e sociale delle poleis greche era ben più complessa: parallelamente alla legittimazione “mitica” dell’ospitalità l’uomo greco riteneva altrettanto sacra l’AUTOCTONIA( figuriamoci il romano con il suo “civis romanus sum”). Lo straniero doveva sì essere ospite, ma allo stesso tempo egli restava sempre anche “diverso” e, in qualche modo, inferiore. Lo era lo xenos, straniero in quanto proveniente da un’altra città stato, e lo era ancor di più il barbaros, colui che non apparteneva alla grecità”.
Regards!
Complimenti!
Modesto, lei fa due tipi di appunti, per alcuni versi condivisibili. L’opportunità di far dire ad un poeta trapassato da migliaia di anni un monito ai presenti e il significato politico che ha assunto la vicenda. Le ripeto in alcuni aspetti mi trova d’accordo ma il tema del post non è questo. Io intendevo solo porre l’attenzione sul fenomeno collettivo che mi pare molto più grave della faccenda in sé ed anche più utile per far riflettere sul tema degli stranieri. Su questi, infine, premettendo che è vero, gli antichi non furono mai inclini allo straniero, ma come non lo furono con le donne, gli schiavi, i dissenzienti. La nostra civiltà, quella dico di cui vorremmo preservare l’identità dalla contaminazione afro-asiatica, si basa sui principi umanitari minimi, quelli che non si toccano. A meno di detti principi la nostra cultura è esattamente pari a quella dei supposti barbari che vengono ad assalirci. Se per soluzione al fenomeno migratorio accettiamo di derogare ai nostri principi la soluzione è oggettivamente e comunque monca, non funzionante. Poi, a chi ne ha la delega la soluzione. A noi solo dire si o no. Per me per ora è no e non perché lo dico io.
Io caro Pizzola ho voluto rimarcare, che su quel lenzuolo con la massima di Ovidio, andava fatta una analisi, prima di fare delle polemiche. Questo ho cercato di spiegare e cioè la grande differenza tra il mito e la realtà. E poi una cosa è “lo straniero” un’altra sono gli stranieri.E poi, sa cosa le dico, di contro il suo essere senza se e senza ma pro-migrante? Ha mai pensato a quel canto dell’inferno dantesco che parlava di avari e prodighi? “Perché tieni e perché burli?”. Ecco i prodighi contro natura, “burlando” dilapidavano il patrimonio avuto in eredità dai genitori. Ecco ,per me una nazione oberata da un debito pubblico colossale,non deve permettersi di sembrare l’Eldorado di migliaia di disperati,che vi arrivano nella speranza di rifarsi una vita. Inganniamo gli italiani ed inganniamo chi arriva.E si vede la fine che fanno. Trovo tra l’altro che vi è una profonda differenza tra fare sbarcare migranti a migliaia ed accogliere. E’ vero , anche noi siamo stati emigranti, ma non siamo andati nel Burundi, ma in USA, nell’allora florido Venezuela, in Germania, in Francia, dove abbiamo trovato lavoro e futuro. Come minimo l’ingresso di stranieri da noi, andrebbe disciplinato. Anche derogando ai nostri principi, che sono principi morali per chi li possiede. Ma la politica a volte deve prescindere dalla morale. Appunto, cosa è la morale e cosa sono i principi e chi ne formula le regole? Comunque, stia bene. Mi congratulo con lei, che trovo moderato nello scrivere e nel rispondere, contrariamente a tanti altri che partono lancia in resta, come fossero l’oracolo di Delfi. Ogni riferimento a qualche suo collega è puramente casuale.
L’analisi non è fra mito e realtà, ma è un’analisi esclusivamente politica, ed è inutile girarci intorno.
La signora ha “usato” Ovidio esclusivamente per una “pertinenza territoriale” tanto cittadina quanto regionale viste le prossime elezioni, colpendo nel segno e vincendo a mani basse… avrebbe potuto usare tranquillamente una “attinente citazione dei nostri giorni” e il risultato non sarebbe cambiato.
Per la verità una vittoria facile, a tavolino… infatti ben conoscendo i temi esposti dal leader politico è andata a colpo sicuro e la vittoria sta nel fatto che se ne è parlato anche in un piccolo paese di provincia.
Il negativo della vicenda è nei commenti “aggressivi” ricevuti sui social, da cui tutto è partito e dove noi stentiamo a ribadirlo (forse volutamente) buttandosi a capofitto nella discussione migranti e non nel problema “facile insulto” (ammorbidiscono volutamente) e tutto questo per un parere diverso dalla corrente, dall’onda del momento…. il voler mettere i bastoni fra le ruote in una campagna elettorale regionale drogata da problematiche nazionali… questo il vero problema.. il contestare e non accodarsi al leitmotiv politico del momento perché bisogna vincere e basta… e si crede che si possa calpestare tutto e tutti.
Spiace ripeterlo ma non vi sono altri argomenti da discutere se non il vile apprezzamento fatto sul social… la campagna elettorale, come la questione migranti non è assolutamente un argomento di discussione collegato all’accaduto.
Modesto, la ringrazio degli apprezzamenti, è mio solito discutere con chi mantiene le mie stesse maniere. I miei colleghi (io faccio l’architetto comunque) non so. Mi permetto di precisarle che non mi piace parlare di morale, che lascio ai fedeli, ma di etica. Su questo lei può tirarmi fuori tutti gli argomenti della filosofia antica e moderna, storia recente e antica, ma su un dato non mi convince. La solidarietà umana sta sopra ogni altra cosa, almeno per me che non ho altre religioni se non quella umana. Se siamo d’accordo su questo, e per fortuna c’è ancora la Costituzione (mia bibbia) a garantircelo, come è scritto nella Costituzione modi e strategie si discutono. Ma non con questo indirizzo becero e raccarttonato a cui stiamo assistendo, che punta solo ad alzare lo scontro sociale per gridare alla vittoria. Mi porti un “regolatore di flussi” eticamente ineccepibile e con lui discuteremo il da farsi.