L’INTERVISTA/Alessandro Serafini in “The art of Ripland”

Ormai quello con Alessandro Serafini, in arte Ripland, è diventato un appuntamento fisso per l’arte peligna, come fisso è anche il luogo: il palazzo dell’Annunziata a Sulmona. Una mostra che puntuale arriva ad aprire le festività natalizie che sono poi quelle alle quali si ispira maggiormente. Un mondo magico che si esprime attraverso la creatività di Serafini, ma prende energia dall’immaginario comune, per questo se al primo impatto i disegni sembrano dedicati ai più piccoli essi diventano per gli adulti un ponte verso l’infanzia. Linea, segni, colori che rievocano immagini e sensazioni dimenticate nel tempo. Non solo. Il mondo di Ripland diventa anche quello in cui si rifugiano i “grandi” sognatori, non importa di quale età, è un universo parallelo, una porta verso una fantasia comune dove si incontrano persone che vibrano sulla stessa frequenza. Per Ripland, infatti, si intende un momento più o meno lungo dove la realtà quotidiana si ferma e lo spazio viene riempito dall’arte dell’immaginazione con le renne, con Babbo Natale, con diversi personaggi uniti tutti da un unico filo conduttore. 

Quale?

Un racconto che ho in mente e che prima o poi cercherò di ultimare. E’ una storia che racconta il mondo di Ripland, il mio brand, ma Ripland in realtà non è altro che una frequenza. Mi piace pensarla così. Capita a tutti di fissarsi in particolari momenti. Ecco in questi momenti scientificamente, chimicamente, fisicamente, cosa accade? Sei in una frequenza strana, di immaginazione. Quello è Ripland. Io disegno personaggi che sono in questa frequenza. Questo è un film che mi sono fatto quando ero bambino. Da allora disegno sempre gli stessi personaggi, ovviamente ora c’è uno studio tecnico molto più approfondito. Ma penso che tutti quanti facciamo questi viaggi, non penso di avere il terzo occhio. Sono personaggi che sono lì per qualche motivo. Naturalmente Ripland è la mia realtà dove i personaggi hanno qualcosa da dimostrare tant’è vero che anni fa ho fatto pubblicare tramite gli strumenti Feltrinelli il primo “Trattato di soffittologia”.

Cioè?

Un libro che ho scritto. Una storiella con diversi personaggi e per ognuno di loro c’è una descrizione. Questo trattato spiega cosa sono questi bambini, chi sono. In soffitta accade, se c’è un Ripland, che questi esserini spuntano e in base a chi viene fuori, se il  bambino-coniglio, il duca Morte Mela, il bambino con la testa di molla, l’incontro ha una spiegazione. Un archivio con tutti i personaggi che popolano Ripland, lì ti fermi, ti congeli. Parlo di una risonanza molto familiare, che vale per tutti. Penso a quando si è piccoli nella propria cameretta, a letto e al buio, mamma e papà sono in un’altra stanza, vedi delle ombre che in realtà non sono niente ma immagini arrivi Alien. Ho disegnato molte tavole che rappresentano delle fobie, ispirate alle paure infantili e che molti silentemente si portano dietro.

Quindi in un certo senso rappresenta il mondo dell’infanzia?

Si. Ma tutti oggi possono vedere delle persone ed immaginare cose su loro: chi sono, cosa fanno. Io, ad esempio, posso inventare un personaggio. Non è solo per bambini, non è solo quello che immagina un bambino, ma vale anche per un adulto. Io mi faccio i migliori “viaggi” quando vado a lavoro, svento rapine tutti i giorni con il commissario della polizia che arriva a ringraziarmi e vuole offrirmi in sposa sua figlia. Storie incredibili.

Lei lavora per un’azienda molto nota, quella di Ennio Orsini: come è finito a fare il direttore commerciale?

Oggi è difficile vivere con il mondo dell’arte, ma comunque mi aiuta tanto fare il direttore commerciale, mi rapporta ogni giorno con persone totalmente diverse, provenienti da tutto il mondo. Ed è quello il momento in cui devi capire, devi interagire. Quando bisogna vendere un’opera, cosa che fortunatamente fa il mio curatore o il mio gallerista, io comunque mi devo rapportare con le persone che vengono a vederle. Essere direttore commerciale di un’azienda grande mi aiuta.

Perchè il tema del Natale?

Il periodo storico del racconto che sto preparando è dicembre, in una Londra tra il 1870 e il 1890. Ho fatto uno studio per questo, riporto strade realmente esistite, parchi, personaggi. Quando sarà finito non sarà un racconto per bambini, ma per adulti. Tutto gira intorno al Natale partendo dal protagonista che è un pendolo, quello che mi lasciò in eredità mio nonno. Lui è sempre stato un personaggio facoltoso, mi ha sempre viziato, però aveva un orologio a cucù che non mi ha mai voluto dare. Diceva: “Quello poi un giorno te lo do” e mi chiedevo che cosa mai avesse di particolare. Morto nonno, durante la veglia, mia madre e mio zio mi dissero di prenderlo e non l’ho fatto. Io in realtà quel pendolo non l’ho mai voluto, ma volevo capire perchè mio nonno era così affezionato a quel cucù. Un oggetto che mi ha stuzzicato. Il racconto gira attorno a questo orologio che ha un  gemello in un museo londinese. Un giorno un mio amico mi dice di averlo visto. Nel libro riesco ad incontrare il direttore del museo che, coincidenza vuole, conosce mio nonno, così me lo dona. Tornando a casa li confronto e parte il racconto.

I suoi personaggi, quindi, sono gli stessi fin da quando era piccolo: quanti ne ha creati e quali sono le tecniche artistiche utilizzate?

Sono tanti, troppi. Ad oggi posso generare venti, trenta acquerelli al giorno tutti diversi tra loro. L’acquerello è immediato, una tecnica fortuita, non si domina, ad un certo punto l’acqua va via e quello che resta resta. Poi ci sono i grandi dell’acquerello che prevedono che il colore si comporti in un certo modo con una carta particolare ed un determinato pennello, una certa asciugatura. Faccio acquerelli da vent’anni, ma per me resta ingestibile. L’effetto finito non è mai quello che ho in testa, a volte mi sento anche incompleto. Il personaggio è quello immaginato, ma non esattamente, non come lo vedevo. Quanti ne ho strappati e mia moglie con pazienza recuperati.

Lei la sostiene nel suo lavoro artistico?

Si, mia moglie è il mio personaggio preferito, è incredibile, per questo va ritratta, ma non sempre nelle stesse vesti. E poi c’è anche il mio cane, Rip. Il nome Ripland deriva da lui.

La prima volta che ha disegnato?

Mah, ero piccolo, sicuramente le elementari, niente di importante come tutti i bambini, ma avevo una traccia. C’è chi disegnava i campi di calcio, chi i vestitini, io sempre i soliti bambini e mia madre e mio zio, artisti, mi hanno sempre spronato anche quando gli altri dicevano che ero fuori di testa. La produzione incredibile l’ho avuta dal 2oo5. Da allora posso contare 1,5mila acquerelli tranquillamente. Molti venduti, molti esposti, molti li ho in casa.

Nel mercato artistico è ben posizionato?

Si. Lo scorso anno ho fatto una mostra a Pescara, dove non ero mai stato, nella galleria La Factory. L’inaugurazione era alle 19, io avevo finito di allestire poco prima e aspettavo l’inizio in un locale di fronte. Non abbiamo fatto alcuna sponsorizzazione, ma già molto prima c’era la folla fuori, pensavo si fossero sbagliati. Sono addirittura arrivati i vigili che ci hanno fatto chiudere un pochino per permettere di sfollare un po’ di gente. E’ stato un risultato incredibile, una cosa potente. Ad oggi con il mio sito Ripland.it e Instagram ho un certo seguito. Ogni volta che faccio una mostra arrivano diverse persone, come per questa a Sulmona sono attese da Napoli, Roma e Milano. La cosa bella è che il mio disegno lo riconoscono non per la firma, ma per il genere, come lo vedono dicono: “Ah questo lo ha fatto Alessandro Serafini”. Quando inizi ad essere distinguibile è il traguardo più grande per un’artista. E’ pazzesco. Io non sono tra i big, sono acquerellista, illustratore, ma è l’idea, il concetto a vincere.

E’ questa la chiave del suo successo?

Penso di si. E poi disegno elementi evocativi dell’immaginario comune. Oggi ero a Pacentro e mi sono fatto un “film”: sentivo l’odore del camino. Perchè piace? Perchè è familiare, richiama la neve, quando c’è la neve c’è uno spirito di solidarietà, di sopravvivenza, di comunità tra tutti quanti. Il camino rimanda a tutto questo anche se non ci sono catene di immagini a spiegarlo, è un processo inconscio: protezione, senso di copertura, sicurezza. L’avventore elabora tutto questo processo avendo davanti un solo disegno.

La sua prima mostra?

Sono molto legato alla mia prima mostra. Mi ero da poco trasferito proprio di fronte l’Annunziata e dovevo riempire le pareti quindi riflettevo su quali quadri appendere fino a quando ho deciso di riempirle con i miei “mammoccetti”. Vennero a trovarmi due amici, anche loro artisti, Monticelli e Pagone. Entrati li hanno visti e sorpresi hanno chiesti di chi fossero. I miei. Così hanno deciso subito di organizzare una mostra nel loro spazio. Da lì ho conosciuto altre realtà artistiche e galleristi. Una volta che entri nel giro sono loro che chiamano. Bari, Roma, Bologna. Ho dovuto per forza avvalermi di un gallerista, un curatore che si occupa di questo, io voglio solo disegnare. 

La mostra “The art of Ripland” aprirà i battenti domani, 4 dicembre, alle ore 16 ,presso l’Annunziata. Occasione per conoscere un altro artista peligno che lavora con l’inchiostro, Marco Di Rocco, presentato proprio da Serafini. Le giuste suggestioni per solleticare fantasia ed immaginazione e volare leggeri verso la magia del Natale.

Simona Pace

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