Partirò dall’Alta Valle del Sangro, in provincia dell’Aquila, per raccontarvi che cos’è il dissesto idrogeologico e provare a fornire un quadro aggiornato sulla pericolosità di frane e alluvioni dell’intero territorio nazionale. Lo scorso 28 ottobre il Parco Nazionale d’Abruzzo e i territori limitrofi sono stati interessati da un’ondata violenta di maltempo che ha prodotto esondazioni, allagamenti e disagi e visto costretti alcuni Comuni ad attivare i COC e le relative funzioni per monitorare la situazione. L’Italia, si sa, è un Paese fragile e i Sindaci dei Comuni sono preoccupati perché non è certo sufficiente emanare l’allerta meteo per dormire sonni tranquilli. Per esempio, in quei giorni di fine ottobre nel nostro territorio la situazione si aggravava di ora in ora. Alle tre circa di notte sul ponte di Villa Scontrone, Comune di Scontrone, c’era il Sindaco Ileana Schipani, insieme ai Vigili del Fuoco e agli uomini della Protezione Civile, per monitorare il livello idrico del Fiume Sangro. In passato il fiume è esondato più volte fino a lambire porzioni del centro abitato: per questo motivo è rimasto sotto i riflettori giorno e notte in caso fosse stato necessario far evacuare la popolazione civile, interrompere il traffico, le normali attività ecc. L’ondata di maltempo che ha colpito l’Abruzzo, ha colpito anche l’Italia da nord a sud, e oggi oltre a contare i danni, si assiste alla ricerca mediatica, di esperti e dell’opinione pubblica per far emergere responsabilità e indicare soluzioni. Si contano circa una ventina di vittime. I primi colpevoli sono già sul banco degli imputati: amministrazioni comunali, abusivismo edilizio, cambiamento climatico, piantumazione mancata manutenzione, opere idrauliche incompiute o con impianti obsoleti. Il dissesto idrogeologico costituisce un tema di sempre maggiore rilevanza per gli amministratori e per la popolazione per gli impatti che ha sul territorio, sul tessuto economico e produttivo e sulle infrastrutture di trasporto e comunicazione. I principali dati dell’Edizione 2018 del Rapporto del dissesto idrogeologico in Italia, elaborati dall’ISPRA, sulla base delle informazioni fornite dalle Autorità di Bacino Distrettuali, dichiarano che sono 7.275 i comuni (91% del totale) a rischio per frane e/o alluvioni; il 16,6% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità; 1,28 milioni di abitanti sono a rischio frane e oltre 6 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Le aree a pericolosità idraulica elevata in Italia risultano pari a 12.405 km, le aree a pericolosità media ammontano a 25.398 km, quelle a pericolosità bassa a 32.961 km.
In Italia il forte incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, ha portato a un considerevole aumento degli elementi esposti a frane e alluvioni e quindi ad un aumento del rischio. Le superfici artificiali sono passate infatti dal 2,7% negli anni ‘50 al 7,65% del 2017. L’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha inoltre determinato un mancato presidio e manutenzione del territorio, soprattutto nelle aree interne. Le Regioni con i valori più elevati di superficie a pericolosità idraulica media, sulla base dei dati forniti dalle Autorità di Bacino Distrettuali, risultano essere Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, Piemonte e Veneto. L’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi, con 620.808 frane che interessano un’area di 23.700 km, pari al 7,9% del territorio nazionale. Complessivamente, sono oltre 7 milioni le persone che risiedono nei territori vulnerabili: oltre 1 milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata (PAI – Piani di Assetto Idrogeologico) e più di 6 in zone a pericolosità idraulica nello scenario medio (ovvero alluvionabili per eventi che si verificano in media ogni 100-200 anni). I valori più elevati di popolazione a rischio si trovano in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Lombardia, Veneto e Liguria. Le industrie e i servizi posizionati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono quasi 83 mila, con oltre 217 mila addetti esposti a rischio. Il numero maggiore di edifici a rischio si trova in Campania, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio. Al pericolo inondazione, sempre nello scenario medio, si trovano invece esposte ben 600 mila unità locali di impresa (12,4% del totale) con oltre 2 milioni di addetti ai lavori, in particolare nelle regioni Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria dove il rischio è maggiore. E’ fortemente minacciato anche il patrimonio culturale italiano. Nella lista del Patrimonio dell’Umanità (World Heritage List) stilata dall’Unesco l’Italia è censita con 53 siti archeologici e detiene il numero più alto di riconoscimenti al mondo. I dati dell’ISPRA individuano nelle aree franabili quasi 38 mila beni culturali, dei quali oltre 11 mila ubicati in zone a pericolosità da frana elevata e molto elevata, mentre sfiorano i 40 mila i monumenti a rischio inondazione nello scenario a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi; di questi più di 31 mila si trovano in zone potenzialmente allagabili anche nello scenario a media probabilità. Per la salvaguardia dei beni culturali, è importante stimare il rischio anche per lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili.
Sul tema dei beni culturali e rischio idrogeologico, l’ISPRA e l’ISCR svolgono da diversi anni attività di ricerca e studio regolate da un protocollo di intesa stipulato tra i due Enti. L’ISPRA sul tema del dissesto idrogeologico certifica quello che sappiamo da anni: l’Italia è un paese idrogeologicamente fragile, rischio frane e rischio alluvioni si sovrappongono fino ad interessare un sesto della popolazione. Fenomeni in aumento anche perché legati ai cambiamenti climatici e all’aumento dei fenomeni metereologici estremi. Sono necessari investimenti e risorse che permettano interventi rapidi e strutturali che pongano la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico al centro di azioni e interventi che abbiano quale scopo primario la salvaguardia del territorio, delle comunità e dei beni culturali. Ma non solo…come ci dice il Sindaco Schipani, che di queste materie si occupa anche nella sua professione: “Abbiamo bisogno di sviluppare e diffondere una cultura di gestione dei rischi naturali, a partire dagli amministratori pubblici, perché il governo del territorio e quindi anche dei fenomeni naturali non può che avvenire attraverso un’adeguata comprensione e capacità di adattamento agli stessi: rispettare i vincoli della pianificazione urbanistica, ridurre il consumo di suolo, sapere che il corso d’acqua ha bisogno dei suoi spazi che altrimenti prima o poi si riprenderà rovinosamente, sono esempi di azioni immateriali che spesso valgono più di una grande opera e costano meno in termini economici e sociali. In un contesto di cambiamento climatico, ancora di più dobbiamo ripartire dalla consapevolezza che le infrastrutture e la tecnologia possono aiutarci nella gestione delle emergenze ma non ci consentiranno di azzerare il rischio, siamo noi che dobbiamo imparare a conviverci nel più accorto dei modi”.
Erika Iacobucci (Corsista Accademia Primo Levi)
Commenta per primo! "Il dissesto idrogeologico tra la paura e la convivenza"