Carlo Tresca, è uno di quei sulmonesi di cui all’estero si fa un gran parlare. Sindacalista anarchico, nella prima metà del Novecento fu un grande agitatore della vita politica sulmonese. Di quel periodo in città restano le sue parole, cariche di forza quasi un secolo dopo: “Sulmona, l’intera vita della città cambiò. La lotta delle piccole ambizioni personali era superata e venne alla ribalta la storica lotta di classe, accesa, folgorante, entusiasmante. Non fu facile organizzare in un esercito i contadini servili, analfabeti, passivi e superstiziosi. Essi vivevano in città in miserevoli case che si affacciavano in vicoli del tutto simili all’Inferno di Dante. Li chiamai alla vita e alle lotte, risvegliai in loro la dignità individuale e la coscienza di classe, li guidai alla conquista. Sono orgoglioso di tutto ciò. Tuttora io considero quel periodo della mia vita il più creativo di tutti”.
Tresca fu anche collaboratore ed editore di testate come Il Germe e Il Martello, si impegnò in prima persona per la liberazione di Sacco e Vanzetti, si oppose fermamente al regime fascista e a quello staliniano, emigrò negli Stati Uniti dove fu uno dei leader del movimento operaio fino al suo misterioso assassinio, avvenuto a New York lungo la Fifth Avenue.
Enrico Deaglio, giornalista e scrittore con un passato in televisione su Rai Tre, sceglie Carlo Tresca come perno centrale del suo ultimo libro: “La zia Irene e l’anarchico Tresca” edito per Sellerio, un romanzo che, come spiega la quarta di copertina, narra: “Vicende intrecciate, ritratti di personaggi incredibili, circostanze rivelatrici, con al centro la storia più sconosciuta. Quella di Carlo Tresca, l’anarchico libertario, sindacalista ed alfiere del buon nome italiano Oltreoceano, ucciso l’11 gennaio 1943 da una complessa cospirazione volta a cancellare un popolarissimo protagonista che avrebbe potuto incidere nel dopoguerra italiano”.
Deaglio aveva già raccontato le gesta di Tresca in un suo libro del 2013: “La felicità in America. Storie, ballate, leggende degli Stati Uniti a uso di giovani, vecchi, ostili ed entusiasti” dove aveva definito l’anarchico sulmonese “l’italiano più famoso d’America”. In La zia Irene e l’anarchico Tresca, ci ritorna usando lo stesso Tresca come caso principale della sua narrazione, dove mescola finzione e realtà, dando lustro alla storia di un sulmonese più famoso all’estero che in città.
Savino Monterisi
Non credo comunque che Tresca abbia, con successo sollevato i contadini servili, analfabeti, passivi e superstiziosi che in Valle Peligna vivono in una sorta di inferno dantesco (basta ancoroggi farsi un giro ). Comunque esistono carteggi lettere e messaggi in codice, mai letti da nessuno storico, ed intercorsi tra Vito Genovese e Renato Senise a Stoccolma. Perciò, il tentativo di omicidio della moglie Betty Bjuström per motivi di gelosia (per come mi ha riferito la nipote svedese ) mi sembra alquanto dubbio, poiché era necessariamente a conoscenza di segreti di stato non escluso la faccenda Tresca se, un accordo Mafia-OVRA, per eliminare un soggetto politicamente scomodo non sarebbe un atteggiamento operativo solo attuale. Betty Bjuström è conosciuta dagli studiosi italiani ma non è un attricetta come è stata definita perché, con propabilita’e’ uscita da un ambiente che ha prodotto numerose agenti che praticavano lo spionaggio.
L’ultimo libro di Enrico Deaglio:
“La zia Irene e l’anarchico Tresca”
Carlo Tresca è stato dimenticato a Sulmona. Fino a pochi anni fa se ne parlava. Più di una conferenza lo ha ricordato quando il Centro servizi culturali era veramente un luogo di socializzazione, di incontri, di dibattiti culturali.
La stessa direttrice, pro tempore, Italia Gualtieri, ha scritto, nel 1999, un libro su Carlo Tresca, Vita e morte di un anarchico italiano in America.
Settantacinque anni fa, la sera dell’11 gennaio 1943, Carlo Tresca aspettava il verde al semaforo all’angolo buio fra la Quindicesima strada e la Fifth Avenue. Gli spararono alle spalle. L’ignoto omicida scomparve su una berlina nera sulla Quindicesima strada. Il suo assassinio scosse l’America. Il grande filosofo e pedagogista John Dewey, suo amico, lo pianse, e non solo lui:” Abbiamo perduto un uomo che portava un meraviglioso amore all’umanità.”
Enrico Deaglio, nel libro uscito in questi giorni, “La zia Irene e l’anarchico Tresca“, inventa un romanzo.
La trama: la minaccia di una invasione islamica condiziona la vita quotidiana, l’economia garantisce ricchezza solo a chi è già ricco. Il personaggio principale del romanzo riceve in eredità una valigia da una zia ex funzionaria del ministero dell’Interno. Per ritirarla si reca al ristorante romano affacciato sul fiume e ad attenderlo trova un gruppo inaspettato. Si tratta di un club di persone che hanno lavorato per decenni nel settore della Sicurezza Nazionale, lo stesso in cui ha prestato servizio sua zia, indagando i misteri d’Italia, le infinite ramificazioni del potere, della finanza, della criminalità organizzata. Nella valigia scopre una serie di documenti, fotografie, testi, passaporti, contenitori sigillati. Inizia così un’indagine che scruta un secolo di intrighi italiani e internazionali, tra anarchici eliminati a New York negli anni Quaranta – a partire proprio da Carlo Tresca, antifascista inviso al regime, assassinato a colpi di pistola.
Ezio Pelino