Tenerezza

La Festa dell’Unità cadeva a chiusura dell’estate, quasi a ridosso del Festivalbar e se ne portava dentro lo stesso moto di melanconico struggimento che per la ragazzina del chiosco, appena il tempo di sfiorarla e ciao, verso quel mai più che si sapeva ineluttabile.

Non è mai stata una festa per giovani in verità, ma fra salsicce, porchetta e montepulciano spillato a fiaschi dalla botte, in quel rosso sangue di cui tutto attorno si dipingeva, dalle bandiere a falci e martelli svettanti, alle camicie, ai fazzoletti annodati al collo delle cuoche al bancone, un certo impeto lo trasmetteva anche a noi. Che disertavamo l’alternativa delle scalette per l’alcol a gratis e per la figlia dei fiori milf che avrebbe danzato in canotta e mingonna sola al centro piazza de tu querida presencia Comandante Che Guevara.

 

Finchè non crollò il muro e tutto quel rosso, quella querida presencia, le falci e i martelli e la mini delle milf dei fiori divennero feticci da mercatino vintage. Il Pci perse la C e, per essere attrattivo e inclusivo a chiunque, si arricchì di D ed S variamente poi aggregate nei lustri a seguire, inaugurando quella stagione di emorragie, chi per dipartita naturale, chi per disillusione, che non sarebbe mai finita.

Si accorsero che toccava rimpinzare coi giovani che invece preferivano il disimpegno levi’s e discomusic sulle scalette in piazza.

 

E fu un tripudio di occhettate  e veltronate,  ogni anno nuove, sempre più ammiccanti alla trasgressione capitalistica, ma sempre con una remora di tradizione bolscevica dentro:

Mercatino ma rigorosamente etno, banchetto di swatch ma solo da sfigati o avanzi da perestroika russa, satanici hot dog yankee col ketchup che però piacevano tanto a Kennedy che piaceva tanto a Walter, dancefloor disimpegnata alle 22,30 ma solo Bob Marley e Police, e sopra tutto manifesti con la grafica di moda che faceva tanto giovane.

Rubata dalle iniziative domenicali del parroco, tipo la partita a calcetto solo se andavi a messa, l’idea base, esca-attira-pesce, doveva funzionare. Con questa immarcescibile convinzione si sono protratti nei lustri la festa e il partito, arricchendo ogni anno il cartellone sul modello Domenica In per non scontentare nessuno, mentre fuori il popolo cresceva in scontentezza e diserzione.

Ed eccoci ad 2018, al manifesto qui su,  tentativo ormai quasi manierista di rintuzzare nella sfiga, nel maldestro tentativo di risorgere il cadavere già consunto.

Sette le attrazioni del cartellone di questo anno sfortunato (ma  ci riprenderemo):

Dibattiti

Musica

Wifi (?!?)

Mercatino

Libri

TESSERAMENTO

Debbono essersene però accorti anche in segreteria che non fosse proprio attraente come programma, infatti hanno preferito puntare sulla bionda che un carosello dei bei tempi garantiva facesse impazzire il mondo:

Na bottiglietta da 33 cl di birra.

Offerta, cioè compresa nel prezzo, tessera, libro, dibattito, birra.

Ma, attenti al rigurgito anticapitalistico di stampo cubano che sta nell’etichetta: nessuna marca, nessuna multinazionale che possa farsene bella per lucrare sui tesserati, no. La birra è targata Pd, la fa proprio il partito e, esclusivamente per celebrare il povero pesce che ci casca, prende il nome di:

Benvenuto Nuovo Tesserato.

 

 

E qui ragazzi potremmo fermarci.

Se non fosse per la firma regia in basso a destra che, con quel “segretario provinciale” a metà fra un’ammissione di limitatezza esperenziale e un cedimento a gerarchie borbonico-bolsceviche, in tempi  di eliminazione delle province sempre ormai prossima, in quest’eutanasia infinita che ce le rende peso morto allettato, sembra più un invito a un nostalgico saluto, un luttino colorato che annuncia il riconsolo e nasconde la salma.

 

Che tenerezza, Pd.

Verrebbe il moto di cuore di venirci e tesserarsi, pure senza birra.

 

 

Antonio Pizzola

 

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