Il rumore assordante degli aerei anglo-americani, l’allarme che suona, Sulmona si ritrova sotto le bombe, obiettivo: la stazione, importante snodo ferroviario tra nord e sud ed est e ovest dell’Italia. Il professore Mario Setta, riprendendo testimonianze da “E si divisero il pane che non c’era” ricorda quel giorno in un articolo su Il Corriere Peligno. La città non è più un “isola felice” e il bombardamento dell’agosto 1943 sarà solo il primo di quelli che seguiranno fino al maggio dell’anno successivo.
Le testimonianze riportate da Setta sono significative nel rievocare ciò che quel giorno rappresentò per il capoluogo peligno e per l’intera Valle. Dalle parole dell’allora capo-stazione Mario Miccolis si risale all’orario delle bombe sulla città, “circa mezzogiorno”, un orario non a caso, cioè quando si incontravano i treni provenienti da Roma, Terni, Pescara e Napoli. Miccolis era stato rispedito a casa da lavoro: addetto alle buste paga, quel giorno ” i ruoli-paga non erano arrivati e il titolare mi disse di prendermi un giorno di congedo”. L’inferno iniziò quando era ormai vicino casa. Delle persone che si rifugiarono nel boschetto vicino la stazione, come si soleva fare nei momenti di allarme, non se ne seppe più nulla.
Il ricordo di Dino Piccirilli, a quel tempo macchinista: “Dalla parte di Raiano arrivava un fortissimo rumore di aeroplani carichi. Vedemmo una nuvola di aerei che venivano verso la stazione. Facemmo appena in tempo a raggiungere la galleria che subito cominciarono a cadere le bombe. Arrivavano a ondate. Furono sette-otto, con esplosioni spaventose. Durò circa mezz’ora. Era una bella giornata. Ma il fumo di quelle esplosioni ora oscurava il sole. Non sentendo più i rumori delle bombe e vedendo che gli aerei andavano verso le Puglie, uscimmo dalla galleria e corremmo verso il deposito. Locomotive sventrate, bidoni d’olio che andavano a fuoco, acqua che schizzava dappertutto. Tutto era nero. Grida di feriti, corpi lacerati e scaraventati sulle pareti; frammenti di carne umana sui resti dei muri; pozzanghere di sangue. Era impossibile camminare. L’acido solforico degli accumulatori fuoriusciva e corrodeva tutto. L’orologio esterno della pensilina era fermo alle 11.27″.
E Caravita Pacella: ” I morti furono tanti che vennero trasportati al cimitero con le mambrucche. I feriti furono trasportati all’Ospedale Civile, situato nel palazzo dell’Annunziata. Dalla stazione all’ospedale c’ era una striscia di sangue continua, una specie di rivolo che scorreva sulla strada”.
Immagini da brivido quelle che si ritrovarono davanti i sopravvissuti. Si racconta di corpi sfracellati, di sangue, di figlie e figli, mariti, madri e padri ritrovati morti, i corpi anche irriconoscibili. La bestia della guerra aveva colpito una cittadina, un territorio tutto sommato tranquillo nonostante la guerra. Era l’inizio dell’avanzata degli alleati per la liberazione dell’Italia. Al Campo 78 lo sapevano e, diversamente dai civili, i soldati prigionieri non poterono negare la loro gioia.
Era il 27 agosto del 1943. Oggi tutto questo sarà ricordato con la celebrazione, promossa dall’amministrazione comunale, della Santa Messa nella Parrocchia della Madonna Pellegrina alle ore 16:30 celebrata dal parroco Don Bernard Rezpecki seguita dalla deposizione di un cuscino da parte delle Istituzioni.
(fonti: http: http://www.corrierepeligno.it/hanno-zappato-la-stazione/16356; per la foto: //www.corrierepeligno.it/hanno-zappato-la-stazione/1635)
Simona Pace
Spesso, in anni non tanto remoti, mi capitava di parlare con delle persone che vissero quella tragedia, in quanto si trovarono là, dove caddero quelle bombe. Arrivarono ad ondate successive stormi di bombardieri anglo americani e vomitarono bombe da alcune tonnellate sulla stazione di Sulmona. Molti si rifugiarono nel boschetto intorno la chiesetta della Madonna Pellegrina, ma fu la loro tomba. In stazione c’era un treno merci che caricava esplosivo dello “stabilimento” di Pratola, alcune bombe lo presero in pieno e gli uomini che erano nei pressi non furono più trovati. A pensare che quelli che ci procurarono tanti lutti e disperazione, poi furono da noi acclamati come liberatori. La storia a volte si fa beffe dell’umanità. La nostra costituzione dice all’art.11 che l’Italia “ripudia la guerra..” però intanto manda soldati i missione in terre lontane dove la guerra c’è. Come se andasse a cercarsela. Meglio sarebbe stato,se dopo la guerra a pace consolidata ,l’Italia si fosse dichiarata neutrale, come la Svizzera. La guerra è una tragedia immane.