Festa del paese, giorno più atteso dell’anno, fatta di cose essenziali, è bandita la futilità.
Festa per rendere onore al Santo Patrono e alla memoria, con lo stendardo che punta al cielo, si tende al vento e guarda la terra.
Festa che ha i colori, i suoni e i sapori del tempo andato e della storia.
Festa che non riempie il cielo con strabilianti fuochi artificiali, ma possiede la bellezza semplice e completa di un girotondo, al centro del quale è tanto bello stare, al riparo dalle cose brutte che ci accadono intorno.
Festa da alzare gli occhi ad alcune finestre tristemente chiuse, dove non si sporgerà più nessuno ad attendere il passaggio di San Michele.
Se ne sono andati tutti in silenzio, senza fare rumore, attutendo lo scalpiccio dei passi incerti su tappeti di foglie autunnali, sulla soffice neve invernale o sui verdi prati di primavera.
È un pensiero fugace, interrotto, appena prima di una lacrima, dalla risata di un bimbetto, che corre felice in piazza con la speranza di un gelato.
Festa di ricordi e ritorni.
Festa di nipoti e nonni.
Qui, nel paese degli avi, tutti i sapori esplodono in bocca, in un balzo temporale che fa tornare per un attimo bambini. Con le ginocchia sbucciate a causa di una fantastica avventura, vissuta con gli amici di sempre, si aspetta la punizione per aver rovinato il vestito buono e si riceve invece un biscotto, da mangiare tutto e subito, per diventare grandi in fretta.
Le case odorano di famiglia, di infanzia, di chiuso e di tutte le braccia che nel tempo hanno saputo accogliere e dispensare amore. Ogni oggetto è una reliquia, è parte del passato, è traccia di ciò che è stato.
Qui niente è vecchio, tutto è preziosa memoria.
I rovi porgono le rosse bacche, più belle che buone, gli alberi sono colorati di frutta, le farfalle giocano intorno ai fiori sparsi ovunque come coriandoli e l’erba profumata invita a restare.
Su una collina, seduti al bar della piazza, alla fontana del “girone” o all’ombra di un albero, dove pensare è più facile e ricordare meno doloroso.
Festa senza luminarie, spenta di sfarzosità.
Festa con il cielo tutto acceso, talmente lucente da spingerci ad alzare gli occhi in alto, appena sotto le stelle, a quelle finestre che poco fa ci erano sembrate chiuse.
E invece sono aperte, adornate della coperta più bella, in attesa che passi la statua del Santo con la bilancia in una mano, che segna l’equilibrio fra Cielo e Terra, testa e cuore, uomo e natura.
I vecchi amici sono lì, non se ne sono andati davvero e nessuno di noi lo farà mai.
Le croci, dal cimitero vicino, sembrano mani alzate che salutano.
Le luci del paese lontano contrastano il buio del bosco più in là e ci ricordano che il mondo è grande, ma non infinito: ognuno ha bisogno di un posto in cui tornare.
Una voce, un sorriso e un abbraccio sciolgono in un attimo la distanza di un anno. Ancora una volta ci ritroviamo insieme a prendere e pretendere il nostro angolo di felicità.
In un presente che trattiene il passato, lo mantiene in vita e da esso trae energia per riuscire a continuare ciò che altri hanno cominciato.
Come le cime degli alberi, che arrivano a sfiorare il cielo e le nuvole, grazie alle radici ancorate saldamente alla terra.
(in foto: Castrovalva – Abruzzo)
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
Bellissimo