Il cappellino che pende da un lato, tipico degli artisti, i baffi ispirati al suo presunto “babbo” Dalì, il sorriso sommesso e il popolo della Giostra soddisfatto stretto attorno al “legittimo” erede del grande Salvador. L’ennesima uscita Josè Van Roy Dalì, come si fa chiamare, l’ha fatta proprio all’associazione Giostra Cavalleresca che solo la settimana scorsa lo aveva accolto come “ospite d’onore” in occasione della presentazione del Palio dipinto dall’amico pratolano Elio Lucente. I nodi, si sa, prima o poi vengono al pettine e il quotidiano La Repubblica, nel lontano 2003 (ben 15 anni fa), aveva cercato di mettere in guardia i “creduloni”, di districare un “imbroglio” che, a pensarci, suona quasi come una barzellata e un sorriso lo strappa: Josè non sarebbe affatto il figlio di Salvador, non di sangue almeno, ma certamente un uomo dalla curiosa inventiva che di Dalì cavalca la grande fama. Scriveva La Repubblica, anni or sono, delle metaforiche porte aperte, gli inviti alle manifestazioni, gli spazi espositivi messi a disposizione di Josè non da organizzazioni qualunque, ma anche da quelle ben strutturate, dai comandi militari alle associazioni passando per amministrazioni varie, giornalisti e chi più ne ha più ne metta. L’ha fatta un po’ a tutti. E il gioco non stenta a finire, tutt’altro, continua ancora oggi ed è arrivato addirittura in Valle Peligna a portare quella ventata internazionale alla manifestazione della Giostra. Macchè. Da quanto riporta sempre il quotidiano Josè sarebbe un affezionato della Garbatella, in quel di Roma, dove si diletta nello “scopiazzare” il desiderato babbo, e qualche altro artista contemporaneo, anche attraverso foto in cui imita le leggendarie espressioni di Salvador Dalì.
Eppure è solo dello scorso anno la grande discussione nata a proposito della presunta paternità di Salvador Dalì alla quale si era aggrappata, in questo caso tutto spagnolo, la catalana Pilar Abel e che aveva sconvolto il panorama artistico e affettivo dell’artista surrealista, infondendo anche seri dubbi, tant’è che sono stati effettuati esami del Dna i cui risultati sono stati negativi. Un momento terribile anche per il governo (e la Fondazione che amministra i diritti dell’artista) al quale, proprio per mancanza di eredi, Dalì aveva praticamente lasciato tutto. Che fosse “impotente” Dalì non lo nascondeva, lo aveva confermato sempre riguardo al “Caso Pilar” anche la sua ben nota modella Amanda Lear la quale ha raccontato dell’amore esclusivamente intellettuale che lo univa alla moglie Gala, rapporto dal quale sarebbe nato proprio Josè almeno a leggere la sua biografia. In realtà Gala aveva partorito solo Cecile dal precedente matrimonio con il poeta Paul Eluard. Dalle biografie e dai racconti di chi ha conosciuto Dalì, insomma, non risulterebbe l’ombra di figli, ma come nelle migliori perfomance la creatività sta proprio nel trasmettere, nel far credere un qualcosa e in questo certamente Josè può dirsi un grande artista che mette in scena, con grande maestria, il suo copione. Una “beffa” teatrale che offusca l’immagine della Giostra.
Simona Pace
Ah ah ah ah le comiche
certo che se dal 14 febbraio del 1940 … ha preso tutti per i fondelli …. cioè Da – lì merita di chiamarsi Dalì ad honorem
causa …. riconoscimento di titolo senza esami … in questo caso DNA – più delle laurette che donate ai poli- ignoranti – ticanti.
Joese van Roy chiedesse scusa a tutti i parenti di Salvador Dali e a chi la fatto credere .lo facesse pubblicamente in tv.questo e un plagio continuo.