Non ho molte convinzioni, ma le poche che ho sono ben radicate in me, frutto di esperienze, sbagli e tranvate pluriennali.
Una di queste è che non sia vero che parlare alle piante le faccia crescere meglio, ma che sia piuttosto una pratica che rigenera noi, poste finalmente dinanzi a un pubblico attento, silenzioso e composto, disposto ad ascoltare il nostro infinito blaterare, senza sbuffare.
L’essere capite e apprezzate per una volta da qualcuno, ci predispone a prenderci cura delle verdi creature impiegando maggiore attenzione, con conseguente loro crescita rigogliosa, fioritura esplosiva e vicina di casa che vuole un seme per fare l’albero.
Un’altra cosa in cui credo fortemente è che per cucinare un buon risotto, non sia necessario fare la balia al tegame per mezz’ora, aggiungendo piccole quantità di brodo da far evaporare di volta in volta. E’ infatti possibile dribblare la noiosa pratica, riempiendo per metà una padella di brodo (rigorosamente glutammato monosodico) e girando di tanto in tanto, ma neanche tanto.
Passato il tempo di cottura del riso, si prosegue con la mantecatura, gettando nel lavandino l’eventuale liquido in eccesso. L’onda non è garantita, ma lo scoglio sarà stato superato.
C’è poi da sfatare la cosa del primo amore che non si scorda mai: è così solo perché era immancabilmente non corrisposto, noi eravamo troppo timide per dichiararci, lui troppo grande per accorgersi del nostro sentimento e ora i rispettivi figli frequentano la stessa scuola, ci si incontra davanti al cancello di ingresso e: -Guarda che ti sei perso, tiè!
Invece l’ultimo amore ce lo ricordiamo eccome e ci auguriamo ogni volta che rimanga tale per sempre.
Ma soprattutto, bando alle ciance, ai risotti ai primi amori e alle piante, credo che dovremmo smetterla di vivere proiettati esclusivamente verso il futuro, preoccupati solo di quello che sarà, di cosa possiamo fare oggi per stare bene fra cent’anni, col rischio di ritrovarci poi a cent’anni stanchi, soli e arrabbiati.
La vita non è un gruzzolo di soldi da investire per garantirci una serena vecchiaia, come se l’oggi non esistesse, non avesse importanza e non fosse esso stesso vita. Come se il presente fosse solo tempo da mettere sotto il materasso, per ritrovarlo poi inutilizzabile, sprecato e rovinato, scevro di bei ricordi e ricco di rimpianti.
La vita va tenuta sempre in tasca, a portata di mano e di cuore, per assaporarla e gioirne ogni giorno. I sacrifici da fare devono essere esclusivamente economici e lavorativi, mai affettivi.
L’andare avanti quasi per inerzia fra un genetliaco e l’altro, in attesa che qualcosa di bello ci cada magicamente in testa dal cielo senza farci male, non può definirsi vivere, ma sopravvivere.
Vivere certi giorni è difficile, certo, ma poi la sera arriva, si torna a casa, si tendono le mani, qualcuno ce le afferra e insieme si aspetta il domani, che sarà sicuramente migliore, perché sarà come noi gli permetteremo di essere. Sarà futuro.
Cerchiamo la felicità dentro ogni giornata, rubiamola dai sorrisi dei nostri figli, dagli abbracci delle amiche, da una risata contagiosa, da una cena in allegria, da un’offerta super vantaggiosa al supermercato. Brevi momenti di gioia che, come piccoli passi camminati nel presente, ci traghettano verso un futuro che d’improvviso ci appare bellissimo: voglio questo per me e per i miei cari.
La felicità, quando c’è, non può essere fraintesa o passare inosservata: è chiassosa, non si nasconde né contiene, è prolifica e contagiosa. Chiede solo di essere vissuta, di avere fiducia, che le sia data un’opportunità.
Non si può fermare la felicità e, se qualcuno ci riesce, vuol dire che non era di buona qualità, ma solo qualche sorriso sparso qua e là, fra un dubbio e una perplessità.
Lo stesso Big Bang altro non fu che l’esplosione di felicità di un Dio stanco del nulla, che un giorno decise di riempirlo di meraviglie.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
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